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Il legno brucia: l’energia del fuoco nel mondo naturale e nella storia civile Atti del convegno Milano 20 e 21 settembre 2007 a cura di Agnese Visconti © 2008 Società Italiana di Scienze Naturali e Museo Civico di Storia Naturale di Milano Impaginazione: Michela Mura - Stampa: Tipografia Solari, Peschiera Borromeo - Giugno 2008 Natura - Soc. it. Sci. nat. Museo civ. Stor. nat. Milano, 98 (1): 181-196 Marica Forni La “ricerca del paradiso perduto”. Sistemi passivi, camini, stufe e impianti ad aria tra Cinquecento e Settecento Riassunto - Una selezione di fonti trattatistiche sui sistemi di riscaldamento è messa in relazione con fonti archivistiche che documentano la diffusione di camini, stufe e più rari impianti ad aria calda in residenze lombarde tra il Cinquecento e il Settecento. Parole chiave: riscaldamento, trattati di architettura, palazzi, dimore lombarde, sec. XVI-XVIII. Abstract - The research of Lost Paradise: heating systems, chimneys-places stoves and air heating systems between 16th and 18th centuries. Architectural treatises give many descriptions of traditional heating systems i.e. chimney-places and stoves: this paper presents a short survey of the best known and commons, comparing them with documentary sources about their diffusion in Lombard palaces (16th - 17th centuries) and focuses on unusual examples of air heating systems. Keywords: heating systems, architectural treatises, palaces, Lombardy, 16th - 18th centuries. Dall’antichità il controllo del microclima degli edifici costituisce una delle più complesse prerogative del progetto di architettura che richiede una concezione globale del “sistema fisico” della costruzione. Il coordinamento di tutte le sue componenti - passive e attive - finalizzato ad assicurarne il corretto funzionamento è quindi premessa e condizione per la sua durata nel tempo e per il suo adeguamento al mutare dei costumi abitativi e delle esigenze di comfort. Al benessere degli occupanti contribuiscono non solo l’involucro-struttura muraria con i suoi materiali, gli elementi costruttivi, le finiture superficiali, ma anche la distribuzione e l’organizzazione degli spazi riservati alla vita privata soprattutto a partire dalla loro specializzazione e la dotazione di arredi fissi e mobili specifici di ciascun ambiente. Accenno brevemente solo a questi ultimi aspetti più ampiamente riconducibili a una cultura dell’abitare per introdurre e contestualizzare le notizie più specifiche su alcuni sistemi di riscaldamento diffusi in area lom- Politecnico di Milano, Architettura e Società, via Bonardi 3, 20133 Milano, Italia, e-mail: marica.forni@polimi.it barda in età moderna. La distribuzione con appartamenti affiancati in un corpo doppio quindi con la possibilità di fruire di esposizioni opposte, considerata nel 1615 da Vincenzo Scamozzi una prerogativa dei palazzi romani1, ha in realtà una più ampia diffusione anche tra le case da nobile nello Stato di Milano. Gli appartamenti estivi in genere sono esposti a nord, talvolta localizzati a piano terra dove possono beneficiare dell’affaccio sul giardino e usufruire di espedienti, come quello suggerito anche da Scamozzi, consistenti nell’apertura di bocchette di ventilazione che richiamano per convezione aria fresca dalle cantine2. Un caso singolare è costituito dal ventidotto descritto da Palladio nella villa di Francesco Trenti a Custoza alimentato dalle correnti d’aria fredda provenienti da una grotta naturale e sapientemente convogliate verso una stanza sotterranea della dimora, la stanza Eolia, definita da Milizia “carcere dei venti” e da questa diffusi mediante condotti per rinfrescare gli interni nella stagione estiva3. Gli appartamenti invernali viceversa sono rivolti a sud e riducono, compatibilmente con le necessità d’uso, il volume dell’aria da riscaldare, scegliendo sovente la collocazione nei mezzanini, dispongono di arredi fissi e mobili che incrementano il comfort termico, ma necessariamente ricorrono all’apporto di un sistema di riscaldamento attivo. I riti stagionali che assecondano la migrazione degli inquilini di rango tra queste polarità del benessere domestico sono propiziati dall’opera della servitù e di maestranze coordinate dalla regia del maestro di casa che provvedono alla predisposizione degli arredi mobili più adatti alla stagione e all’adeguamento dei serramenti che rivestono un ruolo primario tra i sistemi passivi. Luce, aria, calore immessi negli spazi domestici sono ovviamente modulabili per assecondare le esigenze d’uso mediante la collocazione delle aperture, la loro dimensione e le tipologie dei ripari fissi o mobili con sensibili modifiche stagionali anche nel disegno delle facciate. Dal Settececento i serramenti conoscono un decisivo perfezionamento formale e funzionale conseguente all’affinamento del disegno e dei dettagli costruttivi4. La coibentazione dal clima rigido dell’inverno parzialmente assicurata dagli “scuri” è incrementata con la posa in opera di doppi telai che nelle varianti appropriate al tenore dell’ambiente o alla collocazione più o meno lontana dalla vista adottano come elemento modulare translucido i costosi vetri in lastra o la più economica carta cerata. Nella stagione calda fanno invece la loro comparsa a protezione dal sole le persiane, le stuoie, i tendaggi o le “pantallere” e in contesti più agiati le “gelosie alla forma che chiamano genovese”5 che sono introdotte a metà Settecento nella residenza del governatore di Milano ed applicate a tutte le finestre degli appartamenti nobili rivolti al giardino. Deprecato da Milizia come elemento spurio che sminuisce l’eleganza della facciata, questo riparo polivalente con sporti mobili consente di regolare la penetrazione della luce e la ventilazione grazie all’uso dei movimenti a cremagliera, inoltre in caso di temporali protegge sia i vetri, sia i nuovi pavimenti in parquet. Con il classicismo l’architettura e i suoi codici formali assumono il controllo del camino per il quale invano viene invocata l’autorità di Vitruvio. Abbandonate le forme organiche con pianta circolare e cappa conica sostenuta da mensole lapidee di cui E. E.Viollet le Duc fornisce una magistrale sintesi storica6 questo elemento funzionale si integra all’architettura con tipologie assimilabili al camino a padiglione tronco raffigurato da Francesco di Giorgio Martini o a quello simile riprodotto da Filarete7. Il focolare incassato nella parete e assoggettato ai principi della decorazione riceve i suoi attributi tettonici nel telaio della mostra, mentre la cappa si presta a diventare campo per la scultura e la pittura accogliendo le insegne aral- 182 diche o le imprese del committente come i “ligati” dei Visconti dipinti nel 1469 nel castello di Pavia che oscillano tra “il ducale” e “il lione con le sechie”8 o la raffigurazione di soggetti ispirati a storie in cui l’elemento fuoco è protagonista allusivo9. Elemento cardine della socialità negli ambienti d’uso ancora indifferenziato come le “caminate” dove costituisce non solo l’unica fonte di calore, ma anche la principale sorgente di luce, il camino diventa tramite d’iconografie intimamente intrecciate a vicende biografiche. Alla Francia guardano i monumentali camini superstiti al castello di Mirabello la cui foggia racchiude un’indiretta attestazione delle affinità elettive di Galeazzo Sanseverino che riceve in dono da Gian Galeazzo Visconti poco prima del 1498 la residenza nel parco di Pavia10. La “riduzione all’ordine” si compie nei primi decenni del Cinquecento in conseguenza del dilagare alle più svariate latitudini della “maniera romana che dicesi moderna”. Il clima mite di Genova non impedisce ad Andrea Doria di far costruire nella villa di Fassolo gli imponenti camini in pietra nera e marmo di Carrara (t.p.q. 1520). A Trento nel palazzo del castello del Buonconsiglio Bernardo Clesio non rinuncia negli ambienti privati alle stufe rivestite in maiolica decorata, nè ai camini di gusto tardo-medievale come quello nella biblioteca, ma nella sala grande affrescata da Dosso e Battista Dossi sceglie un camino dal disegno “molto sumptuoso e vago” realizzato da Vincenzo Grandi (1532)11. Ai più avveduti tra questi comittenti impegnati a indirizzare e sorvegliare l’opera dei costruttori non sfugge tuttavia l’importanza dei problemi funzionali. L’acribia di taluni si spinge a ricercare informazioni per individuare le modalità costruttive atte a garantire l’efficacia dei sistemi e la sicurezza. Nel 1520 il Duca di Ferrara si avvale di Paolucci, tramite dei contatti con Raffaello e l’ambiente artistico romano per richiedere un consulto a Giuliano Leno “… che si diletta et intende molto di architettura et domandargli in nome nostro s’el sa il modo et forma alcuna di camini che in camere murate in volta non faccian fumo”12. Il sistema suggerito consiste nell’adozione di una canna fumaria a tracciato segmentato simile a quella raffigurata da Francesco di Giorgio Martini13 e consigliata da molti trattatisti. L’indicazione troppo vaga non soddisfa il Duca che ribatte “… a Iuliano Lena potete dire che noi non cerchiamo che ci sian proposte prove da fare perché li camini di stanze in volta non temano fumo; ma cerchiamo un modello et forma provata”. A Paolucci non resta che ricercare informazioni presso altri committenti a partire da Agostino Chigi e da Alessandro Farnese. All’interesse dei contemporanei per l’argomento nei suoi aspetti interrelati formali, funzionali e costruttivi intende corrispondere il più abile divulgatore della “maniera moderna”, Sebastiano Serlio14 che per primo pubblica uno straordinario repertorio iconografico di camini “tutti differenti et di diversa forma & ordine” 15 interpolando il lessico degli ordini con invenzioni personali (Fig. 1) fino alle contaminazioni dell’opera rustica con il dorico e lo ionico16. Precursore delle originali invenzioni diffuse da Serlio in tutta Europa era stato Giulio Romano prima a Roma nelle raffinate variazioni sulla voluta ionica del camino di villa Madama17, poi alla corte dei Gonzaga negli artefatti in palazzo Te che ornano la sala di Psiche, la camera delle Imprese, la sala dei Cavalli e nella sua stessa abitazione mantovana. A questi documenti materiali corrispondono nel corpus grafico del Pippi innumerevoli tracce della varietà sperimentale del linguaggio applicata anche a questo elemento costruttivo18. Analoga per matrice intellettuale la curiositas dell’inventore dei camini a mascheroni zoomorfi di palazzo Thiene a Vicenza e di villa Della Torre a Fumane19. 183 Ciascuna “forma di magnifica presentia” è presentata da Serlio in rapporto all’uso e alle dimensioni degli ambienti proponendo una scelta tra quattro modelli riferiti a due tipologie distinte dalla morfologia della cappa che restituisce una geografia dei camini analoga ai paralleli delle “habitationi di tutti li gradi degli homeni”20. La cappa piramidale è ancora riferita “al costume universale d’Italia”21, quella configurata come un parallelepipedo integrato alla massa muraria è indirettamente assegnata all’uso francese, noto in Italia già nel XIV secolo22. L’autore la definisce “più conveniente ai caratteri monumentali dei camini oltremontani” adatta all’impiego degli ordini corinzio o composito “perché qua nella Francia si costumano le gole de camini andare a perpendicolo fino alla copertura & una gola serve più camini, è ben necessario d’ornare quella tanta altezza con qualche ordine”23. La sua singolare soluzione al problema formale posto dai dispositivi sommitali che racchiudono le canne fumarie è rappresentata dalle reinvenzione di tipi impiegati nel castello di Fontainebleau, ridotti dai “termini della buona architettura” 24 alle eleganti proporzioni di architetture in miniatura a due o tre ordini. L’unica raccomandazione d’ordine pratico estesa a tutti i camini concerne il guardaviso, un riparo ligneo o in lamina metallica, che protegge gli astanti dall’offesa del fuoco e anticipa i dispositivi mobili con schermi dipinti in tela in uso nei secoli successivi quando le dimensioni delle bocche dei focolari saranno notevolmente ridotte. Ai camini e ad invenzioni “tres-bièn imaginée”25 per migliorare il tiraggio dei fumaioli ed evitare ritorni di fumo o di perniciose correnti all’interno degli ambienti domestici Philibert De l’Orme dedica un intero libro del suo Prémier tome de l’architecture (1567). Il fantasioso architetto al servizio di Enrico II riprende e sviluppa alcune osservazioni già divulgate da Alberti e da Cardano il cui trattato De subtilitate è tradotto in francese nel 1556. Per migliorare il tiraggio dei camini nei piccoli ambienti con ricambio d’aria insufficiente consiglia di sospendere nella gola della canna fumaria uno o due vasi sferici in rame riempiti d’acqua e forati superiormente26. Nel camino della galleria del castello del suo protettore cardinale du Bellay a Saint-Maur de Fossés (1541-44) pubblicato nelle Nouvelles inventions pour bien bastir et à petit fraiz (1561) adotta una libera interpolazione di esempi romani e fonti serliane con forme e modi costruttivi tardo-medievali27. La conoscenza diretta dell’antico e della maniera moderna28- acquisita durante il soggiorno a Roma in compagnia di Rabelais e coltivata con la frequentazione della cerchia di umanisti vicini al Du Bellay - affiora anche nell’invenzione dei bizzarri fumaioli del castello di Anet disposti sul tetto en travesti come monumentali sarcofagi prepiranesiani29. La singolarità dei punti di vista di Serlio e De l’Orme e la diffusione della loro opera a stampa è poca cosa di fronte al successo duraturo del camino in marmi policromi della camera del Cardinale Ranuccio in palazzo Farnese, costruito intorno al 1560 e pubblicato da Vignola nella Regola delli cinque ordini (1562) che tramite questo evergreen e le sue innumerevoli traduzioni e versioni avrà una fortuna iconografica ineguagliata30. L’interesse per l’argomento non è univoco: Palladio riporta alcune prescrizioni essenziali di carattere tecnico e conclude “… le nappe [cappe nella dizione in uso a Venezia31], sopra le quali si fa la piramide del camino, deono esser lavorate delicatissimamente & in tutto lontane dal Rustico: percioche l’opera rustica non si conviene, se non a molto grandi edifici”32. Riflessioni e chiose sui testi di Vitruvio e Alberti ed esperienze acquisite nel corso dell’attività professionale sono raccolte da Pellegrino Tibaldi in modo a-sistematico nel suo trattato manoscritto dove accenna a generici attributi formali “… i camini con sporto in fuori con 184 modiglioni quai erano poi sostenuti da statove di pietra, detto da grezi Atlanti”33. Più interessanti appaiono i cenni ai sistemi di riscaldamento meno convenzionali conosciuti in occasione del suo soggiorno alla corte di Madrid: dai bracieri in metallo o in creta nei quali si ripongono carboni, riducendo sia l’inconveniente del fumo che annerisce le superfici sia il freddo causato dalle correnti d’aria inevitabile corollario dei camini34, al rudimentale impianto ad aria che mediante condotti in inverno immette da ambienti ipogei in quelli ai piani nobili aria riscaldata da camini o fornaci e viceversa veicola aria fredda in estate35. Il sistema costituisce una delle innumerevoli riedizioni36 del principio dell’ipocausto - tema qui volutamente omesso - di cui va quantomeno ricordata la continuità delle pratiche che precede il revival settecentesco sia nei balnea medievali, sia nei calefactoria dei monasteri, sia nella costruzione delle stufe per pochi raffinati committenti. Se il pensiero e le curiosità estemporanee di Pellegrino restano confinati nel limbo dei codici d’architettura, il trattato pubblicato nel 1615 da Vincenzo Scamozzi costituisce per contenuti e diffusione il naturale seguito di quelli citati. Dispensate le indicazioni usuali sulla disposizione del camino lontano dai passaggi per non dare intralcio, al riparo dalle correnti d’aria provenienti dalle aperture, Scamozzi rapporta le dimensioni della bocca a quelle dell’ambiente e al suo uso, quindi appellandosi empiricamente a un canone antropomorfo, prescrive che eccedano di poco l’altezza di un uomo ben formato e non siano inferiori alle sue spalle, la larghezza della luce sarà un terzo o un quarto in più dell’altezza. Seguendo la linea inaugurata da Serlio riprende la geografia delle tipologie. La prima “di forma eccellente, d’ornamenti proporzionati, e di pietre fine e lustre e si usa molto in questa parte della Lombardia”37 è adatta a murature di sezione ridotta. La cappa a padiglione è infatti costruita in aggetto e “sostenuta da colonne, pilastri, statue, termini ed alle volte da alcuni cartelloni e cose simili e sopra d’essi hanno poi i loro ornamenti d’architravi, fregi e cornici, sopra ai quali si formano le piramidi che ascendono fin sotto alle volte, ovvero ai palchi”38. Degne di nota sono le assonanze con i camini delle dimore patrizie dello stato di Milano nella seconda metà del Cinquecento o nel primo Seicento, descritti nelle fonti notarili come umili e prosaici “camini a braghettone” che solo alla metà del Seicento a Pavia saranno surclassati dai più moderni camini “alla francese” con mostre in broccatello39. Un efficace compendio di tipi è documentato a Cremona dai disegni di A. Campi, dal camino ancora conservato in palazzo Barbò Meroni o dalla descrizione di quello perduto in palazzo Affaitati “camino in marmo di Verona con suoi mensoloni pure di marmo con cappa in cotto a stuccho con due figure”40. La descrizione di tipologie proposta da Scamozzi prosegue alimentando qualche confusione: “La seconda specie si dice alla francese con tutto che le nappe loro [...] escono dall’alto al basso quasi tutte fuori delle mura, contra l’opinione di molti che pensano che elle siano incavate all’indentro; onde riescono molto in Roma ed in quelle parti ove si fanno le mura di buona grossezza, e perciò noi le addimandiamo alla romana”41. “La terza ed ultima specie si chiama a mezzo francese, overo a mezo padiglione [...] riescono bene in Roma tuttavia noi le chiamiamo alla veneziana”42. In dotazione a tutti i camini Scamozzi impone il paracamino denominato negli inventari veneziani di fine Cinquecento “quadro da fuogo”, assimilabile nella funzione agli sportelli lignei che Alvise Cornaro, gentiluomo padovano dilettante d’architettura, consiglia già intorno al 1530, di collocare a protezione dalle correnti d’aria e dalla diffusione delle ceneri43. Per quanto concerne i dispositivi di dispersione dei fumi l’architetto è perentorio nel prescrivere “l’obelisco, che posi su un piedestilo, il fianco, del qual sia alto almeno un quadro 185 perfetto de duoi piedi, e mezo, & al più tre, con qualche fascia a piedi, e Cimacia di sopra: le forme delle quali si potranno cavare altrove”44, eventualmente surrogato da “forme di vasi svelti, e belli, i quali s’innalzino dal tetto in su con molta grazia [...] a fatti in modo che i loro spiramenti per dove esce il fumo non sia rintuzzato da venti e massime da boreali, molto gagliardi, e continovi, e da quelli da mezo di, che feriscono molto allo ingiù, così cacciano il fumo in basso alle stanze”45. Di matrice scientista, come quello di Scamozzi, ma diversamente indirizzato è l’approccio più generale di Louis Savot ai temi del costruire e dell’abitare condotto nel trattato dato alle stampe nel 1624, diffuso con quello di Le Muet anche nelle raccolte di dilettanti d’architettura lombardi. Il docente di medicina alla Sorbonne dedica al riscaldamento domestico due capitoli concepiti come proposizioni: Des moyens d’estendre facilment & promptement le feu qui s’est mis dans une cheminée a cui segue Des moyens d’échauffer une chambre avec moins de bois que costume46 che confermano nei contenuti la novità del punto di vista scientifico all’argomento. Definita sinteticamente la combustione si sofferma, compendiando le prescrizioni di alcuni predecessori, sul modo per prevenire la diffusione incontrollata del fuoco lungo la canna fumaria, introducendo barriere tagliafuoco costituite da serrande all’imbocco e al di sotto a livello del focolare. L’autore è sensibile anche al problema del risparmio energetico e a quello correlato del rendimento termico. La soluzione a suo avviso consiste nell’adozione di uno dei primi sistemi misti di riscaldamento che sarà alla base di modelli perfezionati nel Settecento. Savot ottimizza i moti convettivi dell’aria riscaldata in un’intercapedine a comparti comunicanti disposti sul fondo, ai lati e sotto il focolare per immetterla nell’ambiente. La seconda caratteristica innovativa consiste nel miglioramento della combustione mediante l’apertura di bocche di calore alimentate da una presa d’aria ricavata sotto la base e la piastra di fondo del focolare rivestito di un materiale isolante. Due sono le applicazioni citate da Savot: il camino nel Cabinet des livres al Louvre e quello nella Chambre de la pompe a Parigi. Questo sistema sarà perfezionato da Nicolas Gauger come camino a doppio fondo con sezione parabolica, con un’intercapedine serrata da una lamina metallica in cui l’aria circola riscaldandosi evitando la dispersione e divulgato nel suo trattato La mécanique du feu (1713)47. L’endemica diffidenza che nei paesi dal clima temperato accompagna le sporadiche apparizioni di stufe costruite per assecondare i capricci di bizzarri signori48 non impedisce a Savot di descrivere piccoli camini rotondi all’uso in Svezia da collocare all’angolo delle stanze e muniti di un alto condotto d’esalazione dei fumi all’interno della cappa del camino e cheminées à l’anglaise, piccole stufe in ghisa adatte ai cabinets. La geografia diventa intricata e incerta se si considera la similitudine con il tipo che sarà denominato erroneamente à la prussiènne, a sua volta ibridato da Benjamin Franklin nel suo cheminée Pensylvania con il sistema ideato da Gauger49. La vivacità che contraddistingue dagli anni Trenta del Seicento l’editoria francese amplifica il contemporaneo rinnovamento dei modelli ornamentali testimoniato dalle monumentali raccolte grafiche di Jean Marot e del contemporaneo Jean Le Pautre che tra 1660 e 1665 pubblica modelli definiti à l’italienne o à la romaine testimoniando indirettamente la filiazione della decorazione Luigi XIV che sancirà il primato della Francia in tutta Europa nell’indirizzo del gusto. Tra i repertori a soggetto più diffusi su questo tema specifico mi limito per brevità a ricordare l’opera di Jean Barbet Livre d’architecture d’autels et de cheminées (1633) fonte riconoscibile anche nei camini disegnati per Somerset House (1636) e per la Queen’s House (1637) a Greenwich50 da Inigo Jones “restauratore del buon gusto”, 186 architetto della regina Henrietta Maria e dell’ambasciatore francese a Londra. Più in generale a questi repertori a stampa attingono con semplificazioni e riduzioni i disegni di modelli ornamentali che le maestranze impegnate nei cantieri di decorazione si tramandano di generazione in generazione51. Tutta la fantasia e la ridondanza decorativa della prima Scuola di Fontainebleau sembrano rifugiarsi nei camini in uso nel primo Seicento come un retaggio del secolo passato52. Prove indiziarie compaiono nelle raffigurazioni in sezione delle residenze nobiliari che illustrano la Manière de bien bastir pour toutes sortes de personnes di Pierre Le Muet (1623). Più concrete, ormai rare, testimonianze materiali coeve ancora conservate a Parigi sono il camino dell’Hotel Amelot de Bisseuil, quello riallestito al Museo Carnevalet e quello dell’hotel in rue St Honoré, 35253. A compendio dei due estremi entro cui si compie entro la metà del secolo l’evoluzione del gusto in fatto di camini questi esempi sono assimilabili a due disegni francesi attribuiti a N. Tessin conservati a Stoccolma e datati 166054. Le modifiche più vistose interessano il telaio della mostra che originariamente supporta una gola diritta o a profilo leggermente concavo impiegato come base della cappa ornata da un bassorilievo o da un dipinto e in seguito si rinnova con la sovrapposizione di una cornice che racchiude un medaglione in cui è inserito un dipinto, un bassorilievo o uno specchio di piccole dimensioni e superiormente la cappa anch’essa decorata. Una selezione di queste eleganti, ma inattuali composizioni compare ancora nel Cours di Daviler (1691) dove sono accostate alle sei invenzioni di cheminées nouvelles rappresentative del più recente orientamento del gusto che riconduce al controllo dell’architetto il progetto della decorazione55. La ricerca di maggiore grazia e ricchezza è assecondata dall’uso di marmi policromi, ornamenti in bronzo dorato o brunito, mensole più profonde per disporre pendole e oggetti d’uso, specchi racchiusi in menuiseries il cui disegno cela artificiosamente con accorte profilature i giunti imposti dalle dimensioni ancora ridotte dei vetri in lastra e predisporre una sapiente disposizione delle luci, candelieri e girandole munite di specchi leggermente concavi. A questi modelli dal disegno complesso possono essere assimilati innumerevoli manufatti pregiati elencati dai primi decenni del Settecento in molte case da nobile come la “cimasa da camino con cascate dorate con tre specchi” nella camera del camino dell’appartamento pavese di Antonio Belcredi (1743)56. La più importante innovazione nel camino alla francese coincide con l’introduzione alla fine del Seicento del grande specchio che diventa protagonista assoluto della composizione e oggetto di una specifica produzione editoriale57. Il nuovo tipo identificato come cheminée à la royale di fatto fa la sua precoce comparsa nei palazzi reali a partire dall’anticamera del re a Versailles di J. Hardouin-Mansart e De Cotte (1684). Solo a quest’ultimo, tuttavia, i trattatisti (A. C. Daviler, J. F. Blondel, F. Milizia, A. C. Quatremère de Quincy) concordemente attribuiscono l’invenzione58. Il secondo “prodigio” avverrà a Marly nel 1699 quando la mensola del camino sarà sormontata da uno specchio formato da un’unica lastra, selezionata tra i “verres de France” prodotti dalle manifatture di Cherbourg che nel 1693 avevano ottenuto il privilegio dell’esclusiva trentennale della produzione di grandi lastre colate in stampi59. Questi manufatti pregiati costituiscono infatti l’esito più raffinato della produzione maturata in un contesto tecnologico e imprenditoriale fortemente rinnovato dalla politica protezionista avviata da Colbert dal 1660. Per effetto d’imitazione anche questa moda permea la cultura abitativa europea raggiungendo lo stato di Milano dove ancora a metà Settecento i vetri in lastra per finestre e specchi i “cristalli di Venezia” costituiscono un lusso riservato a pochi a causa del costo proibitivo60. 187 Fig. 1 - Serlio S., Tutte le opere d’architettura, F. Franceschi, Venezia 1584, lib. IV, 186. 188 Fig. 2 - Blondel J. F., Planches pour le cinquième volume du cours d’architecture [...] comencé par S. J. F. Blondel et continué par M. Patte, Desainte, Paris, tome V, pl. XX. 189 J. F. Blondel ideologo e maestro di cerimonie dell’architecture à la française incide profondamente sulla cultura architettonica europea attraverso la sua attività editoriale e la didattica svolta nel suo atelier di Parigi frequentato anche da architetti stranieri. Nel Cours d’architecture (1771-1776) riserva al tema dei camini alcuni capitoli del quinto tomo, pubblicato postumo dal suo allievo P. Patte. Esordisce entrando nel vivo del dibattito sull’uso del grande specchio sopra il camino61, esprimendo un’apprezzamento per l’effetto di gaiezza suscitato dall’aumento della luce, dall’impressione di maggiore ampiezza dello spazio, dalla moltiplicazione degli oggetti preziosi e dal vantaggio riservato a chi siede vicino al fuoco di poter controllare tutto l’ambiente senza neppure volgere il capo. Tra le argomentazioni critiche quella più efficace, riferita da Blondel, concerne l’assimilazione dello specchio a un vuoto che come tale è consentito solo alla fine di un’enfilade per prolungarne l’estensione o di fronte a finestre, quindi non c’è ragione perché quello che deve essere considerato pieno debba essere espresso come se fosse luce. Torna alla memoria sul rapporto fuoco-luce, pieno-vuoto la polemica accesa dallo spettacolare camino disegnato da Borromini per la sala di ricreazione dell’oratorio dei Filippini a Roma dal telaio costruito (1641) recuperando dei blocchi di marmo saligno con la cappa in stucco a padiglione sospesa come una tenda sul vuoto delle due aperture laterali62. Blondel, concordando con l’opinione diffusa, considera materiale eccellente il marmo bianco di Carrara esportato ovunque lungo le rotte commerciali gestite dai genovesi, ancora molto apprezzato, nonostante fosse da tempo nota la facilità di alterazione per effetto del fumo che con i suoi depositi ne spegne il candore e la lucentezza. Acutamente osserva Quatrémère de Quincy è a Roma, dove l’uso del camino non è così diffuso come al nord, che le cappe ostentano le materie più preziose: porfido, granito, mosaico, bronzi tutti oggetto di curiosità da parte degli stranieri più facoltosi. Se il recupero di marmi antichi è una costante a Roma, il loro commercio è ancora nel Settecento particolarmente florido e rivolto anche a soddisfare richieste per mostre di camini dove artefatti moderni e reperti archeologici sono composti con un’inedita modalità evocativa nell’uso dell’antico che caratterizza le straordinarie invenzioni di Piranesi, gradite agli inglesi e ai pochi francesi a lui affini63. Blondel insiste sul disegno della composizione alla ricerca della sobrietà intesa come reazione al gusto più carico dai contorni tormentati del ventennio precedente. La bellezza del risultato dipende dalla forma e dalle proporzioni del telaio, dall’integrazione alla menuiserie che racchiude lo specchio (Fig. 2), dal suo rapporto con la cornice del soffitto, dall’accordo di questi componenti con lo specchio nel lambris o nel trumeaux prospiciente che ne riflette e moltiplica all’infinito l’immagine64. Materiali differenti - marmo per la mostra, legno dipinto o dorato per gli elementi lignei, bronzi per le finiture e le luci - dovranno accordarsi perfettamente, integrati dal disegno nel rispetto delle convenzioni decorative in relazione all’uso di ciascun ambiente al fine di conseguire un esito unitario. Circostanziate raccomandazioni all’architetto perché controlli la qualità degli specchi - l’uniformità della superficie dei pezzi, lo spessore, il colore, l’assenza di difetti, il montaggio a piombo per evitare effetti di deformazione - saranno riprese e integrate fino al dettaglio dei costi dei differenti tipi di vetri anche da Nicolas Le Camus de Méziéres65. Gli aspetti funzionali non sono secondari: se la trattazione non è originale nei contenuti, l’esposizione è chiara e sintetizza in dettaglio,con l’ausilio dell’illustrazione, gli aspetti costruttivi atti a garantire la sicurezza dell’impianto corredando il testo di una tavola , assecondando un’esigenza d’informazione specialistica sempre più avvertita66. 190 Alla stufa ormai affrancata dai pregiudizi, Blondel dedica come Daviler, alcune considerazioni avallandone l’impiego nella salle à manger con una disposizione in nicchia che ne conferma l’avvenuta metamorfosi in elemento scultoreo già avviata a fine Seicento67, tendenza generale destinata a rasentare l’eccesso: Le Camus de Mézières propone di collocare una monumentale stufa isolata in forma di piedistallo sovrastato da colonne alte quanto il salone per racchiudere le canne fumarie, dissimulando così l’elemento funzionale con un’ornamento magnifico68. A partire dal primo Settecento gli inventari delle più ricche dimore patrizie lombarde registrano sovente una camera della stufa confermando la diffusione di questo impianto, con un ruolo complementare rispetto a quelli più tradizionali, esibito quale indizio di una raffinatezza di costumi che si esprime anche attraverso la ricerca di comfort. Nel palazzo regio ducale di Milano “camini a uso di stufa”, ibridi ricavati per adattamento dei focolari, fanno la loro comparsa al seguito dei governatori austriaci insieme a qualche “stufa alla tedesca” che viene alimentata dalle stanze di servizio. L’assetto strutturale e distributivo del palazzo non consente di inserire un corridoio adiacente gli ambienti da riscaldare che consentirebbe ai domestici di caricare il combustibile nel forno utilizzando uno sportello posto sul retro della stufa. Questo schema è scelto da J. C. Sturm per corredare, insieme ad altri riferimenti agli usi locali, l’edizione tedesca del trattato di Daviler69 e adottato - tra le rare applicazioni lombarde - da Francesco Croce nel progetto di riforma dell’ala sul giardino del castello di Belgioioso i cui proprietari possiedono una ricca biblioteca, fornita anche di un considerevole numero di trattati di architettura. Le “… tre stufe con quadri di cotto dipinti a color verde, a più ordini con suoi finimenti, pilastrini di ceppo gentile sagomati”70 installate nel 1748 con la sorveglianza dell’ingegnere camerale Giulio Richini nell’appartamento della contessa Harrach appartengono a una tipologia più evoluta. L’aspetto di dispositivi marziali, molto simili ad un forno, è dissimulato dal rivestimento in formelle di terra cotta dipinta e smaltata o di maiolica. Dalla fabbrica milanese di Felice Clerici provengono le forniture di elementi decorativi fittili come le piastrelle smaltate con cui nella residenza del governatore e in molte case da nobile si usa rivestire il foyer dei camini, migliorandone l’irraggiamento come raccomanda anche Milizia. Dopo l’allarme seguito ad alcuni incidenti, nel 1753 le stufe sono sostituite con “altre di nuova invenzione da soggetto giunto da Moscovia, esenti d’ogni pericolo d’incendio ed atte a servire per tutti gli appartamenti che abbisognano d’essere riscaldati”71. Il misterioso personaggio è l’architetto Pietro Antonio Trezzini, figlio del più noto Domenico, che al suo rientro da Pietroburgo a Milano nel 1752 si fregia dell’altisonante qualifica di Magnifico Architetto di Sua Maestà Imperiale di Tutte le Russie, ma, in concreto, si accredita nel più importante cantiere cittadino facendo valere le sue preziose conoscenze tecnologiche. Il rudimentale sistema di riscaldamento ad aria introdotto in una delle stanze che precedono la sala da ballo immetteva attraverso bocchette regolabili inserite nel lambris l’aria calda proveniente da una tubazione in lamiera collegata ad una grande camera di combustione in muratura ubicata a piano terra, in corrispondenza della torre, nel locale di servizio altre volte adibito ad osteria72. Tutti gli appartamenti d’inverno nobili e familiari saranno in seguito dotati di una versione perfezionata che presenta il duplice vantaggio di ovviare a un problema distributivo evitando la formazione di corridoi o di camerini di servizio dai quali il fuochista avrebbe potuto alimentare la stufa lavorando senza recare alcun fastidio, né essere visto. I costi e le difficoltà d’installazione delle stufe, la scarsa esperienza delle maestranze, nonostante l’introduzione di personale specializzato 191 addetto al funzionamento e alla manutenzione, limitano la diffusione di questi sistemi a vantaggio del camino in versione perfezionata. La sicurezza costituisce un traguardo ancora lontano. In un edificio continuamente trasformato negli ultimi due secoli, dove i tracciati delle canne fumarie sovente non rispettano le buone norme del costruire seguendo improvvide traiettorie a ridosso di elementi lignei, tutti gli impianti possono rivelarsi pericolosi : è con questa pragmatica convinzione che nel 1764 si decide di dotare la residenza di Milano di una “macchina inserviente a spegnere gli incendi”73. Tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento mentre si fa più ampio il discorso sull’architettura i temi portati alla discussione nelle sedute dell’Académie d’Architecture e in parte divulgati nei Mémoires si aprono anche alla costruzione: i materiali, le loro proprietà fisiche e meccaniche, i sistemi voltati, le macchine di cantiere, ma anche gli impianti74 o un argomento ad essi strettamente correlato, quello della sicurezza. A partire da queste sollecitazioni diventano più esplicite in quello che è ormai un territorio di confine, le tracce di attraversamenti disciplinari eterogenei legittimati da un’accezione sempre più complessa del progetto e dall’inevitabile ampliarsi delle sedi del dibattito. Sul controllo del progetto, inteso come prodotto complesso, in cui l’innovazione tecnologica non meno della sicurezza determinano un valore aggiunto, in senso ampio si gioca per molti architetti l’affermazione in un mercato concorrenziale75. Non è un caso che Simone Cantoni aggiorni le sue conoscenze anche in questo settore per corrispondere pienamente agli ideali abitativi all’esigente committenza lombarda integrando ai sistemi tradizionali modernissimi caloriferi ad aria in palazzo Vailetti a Bergamo o a villa Olmo a Como76. Su questo fronte si attestano le ultime applicazioni di un sapere tecnico che sta cambiando - anche nelle sue modalità di trasmissione - e già racchiude in modo frammentario e non consapevole il nucleo sperimentale su cui si fonderanno i sistemi di riscaldamento a rete - ad aria, ad acqua o vapore - brevettati nel corso dell’Ottocento77. F. Milizia, seguito dal meno sistematico G. Masi - che cita la Caminologie ou traité des cheminées (1756)78 - imposta una trattazione dei camini integrando i contenuti usuali con nozioni di base di fisica e informazioni tecniche aggiornate - talvolta con semplificazioni riduttive - anche alla pubblicistica accademica79. Pur citando la Mécanique du feu (1713)80, del complesso camino ideato da N. Gauger raccomanda solo l’uso del focolare a sezione parabolica per ridurre la dispersione di calore. Attribuisce invece risalto inusitato al “genio sublime” di Franklin descrivendo alcuni suoi ritrovati e in particolare il camino di Pennsylvania di cui fornisce anche un disegno. Milizia lo considera più salubre del focolare aperto elencandone i pregi “questo camino riscalda tutta la camera ugualmente, evita la corrente d’aria sì dannosa, si trasporta facilmente da una stanza all’altra, consuma meno legna di qualunque altro, non fa nè fumo, nè fuligine, nè cattivo odore”81. Note Cfr. Waddy, 1990: 17. Scamozzi, 1615: III, 321. 3 Palladio, 1570: I, cap. XXVII, 60; Milizia, 1784: II , 152. 4 Grimoldi, 1987. 5 Documentate anche a Roma (Waddy, 1990: 4). Riscontri documentari e una trattazione più puntuale riferita a palazzi lombardi in Forni: 1997; Forni: 2003. 6 Si vedano in particolare le voci Cheminée e Cusine del suo Dictionnaire (Viollet le Duc, 1867-70). 1 2 192 7 I due codici dedicati all’architettura sono databili rispettivamente 1489-1492 e 1461-1464 (t.a.q. 1492) (Biblioteca Nazionale Firenze, Fondo Nazionale, Cod. Magl. II-I.141, c. 2. Ivi, II-I. 140, c. 69v). 8 Cfr. la lettera di Cicco Simonetta (7 agosto 1469) trascritta in Welch Samuels, 1989: Appendix II, 357. 9 Su questi “precetti di convenienza” ancora Milizia, 1784: 148-149. 10 Matteini, 2002: 23. 11 Chini De Gramatica, 1988: 32. 12 Pacciani, 1985: 142. 13 “Architettura civile e militare” (t.a.q. 1492) (Biblioteca Nazionale Firenze, Fondo Nazionale, Cod. Magl. II-I.141, c. 3). 14 Serlio, 1584: libro IV 138, 156-157, 166-167, 181-182; libro VII 68-75. I libri IV e VII sono stampati per la prima volta rispettivamente a Venezia nel 1537 e a Frankfurt nel 1575, ma consultati nella prima edizione curata da G. D. Scamozzi nel 1584 a cui fanno riferimento le citazioni. 15 Serlio, 1584: libro VII, 68. 16 Il camino D e il camino N rispettivamente in Serlio, 1584: libro VII 69-73. Esemplificazioni riferite ai cinque ordini sono in Serlio, 1584: libro IV passim. 17 Frommel, 1989: 102 passim. 18 Belluzzi Forster, 1989: 190; 200; Fiore, 1989: 482; M. Tafuri, 1989b: 497. 19 Tafuri, 1989a: 25. 20 Queste le finalità del VI libro manoscritto conosciuto attraverso due codici e pubblicato solo nel 1967 e nel 1978. 21 Serlio, 1584: libro VII 71-73. 22 Thornton, 1992: 370 nota 1. 23 Serlio, 1584: libro VII 71-73. Una conferma di queste consuetudini in Daviler, 1691: pl. 55, 183; Viollet le Duc, : 194-217. 24 Serlio, 1584: libro VII 70-71; 74-75. 25 De l’Orme, 1561: libro IX, cap. X, 273. 26 De l’Orme, 1561: libro IX, cap. X, 268. 27 Blunt, 1997: 25. 28 Nei fogli dei suoi taccuini di viaggio che testimoniano uno sguardo vorace diretto agli exempla disponibili compare anche uno schizzo di un camino bramantesco a cappa sporgente rilevato nel palazzo della Cancelleria (Blunt, 1997). 29 Blunt, 1997: 40. 30 Ancora pubblicato in Daviler, 1691: 16-165, pl. 56. 31 Scamozzi precisa “… esse sono chiamate così si come ricevono la fiamma, & il fumo del Fuoco, si come i Nappi de’ Pastori ricevono il latte e altri liquori” (Scamozzi, 1615: 164). Concina, 1988: 103. 32 Palladio, 1570: I, cap. XXVII, 60. 33 Pellegrini: III, XXIII: 350. 34 Pellegrini: II, LXI, 163-165. Riscontri iconografici e documentari in Thornton, 1992: 23. 35 Pellegrini, III, XXIII: 352. 36 Si potrebbe dedurre la presenza di questo sistema nella sala dell’odeon Cornaro a Padova (1524 circa) dalla sezione pubblicata da Serlio (Thornton, 1992: 25). 37 Scamozzi, 1615: 164. 38 Scamozzi, 1615: 164, 167. 39 Forni, 1987: 47-51. 40 Jean, 2000: 165-166. 41 Scamozzi, 1615: 164. 42 Scamozzi, 1615: 367. 43 Analogamente a quanto documentato a Genova Boato, 2005: 91. 44 Scamozzi, 1615: 317. 45 Ivi. 46 Savot, 1624: XXIV, 144-147; XXV, 147-151. 47 Un perfezionamento viene suggerito da Quatrémère de Quincy: 635-641. 48 Una stufa alla tedesca era comparsa a Fontainebleau nel padiglione omonimo (1520) (Quatrémère de Quincy, 1788-1825: 795). 49 Bosc, 1875: 71-72. Breymann, 1931: IV (traduzione annotata del trattato pubblicato tra 1881 e 1890). 50 Harris, 1961: 253-64; Harris Higgot, 1989: 206-209, tav. 64, 65, 66. 193 Sugli album Valperga in particolare Dardanello, 1989: 282-283. Babelon, 1977: 211. 53 Babelon, 1977: 209-211. 54 Le Moel, 1990: pl. 224, 225. 55 Daviler, 1691: 158-171*6; pl. 57. 56 Forni, 1987: 76. 57 Kimball, 1936. 58 Per un’anticipazione delle date: Pérouse de Montclos, 1982: 74. 59 Cfr. Le Moel, 1990: 217. 60 Riscontri documentari sul consumo di vetri in lastre a Pavia, Milano e Cremona in Forni, 1987: 76; Forni 1997: 84-87; Jean, 2000: 239. 61 Oltre alla dimensione è il loro uso improprio a muovere una delle ultime voci critiche (Quatrémère de Quincy, 1784-1825: t. II 639). 62 La descrizione e il disegno in Connors, 1998: 186-187. 63 La bibliografia in argomento è vastissima, mi limito a segnalare i due camini destinati a committenti inglesi inseriti nell’in-folio piranesiano (Piranesi G. B., 1769: tav. 1-2). 64 Blondel, 1771-1777: t. V - 78; pl. XVIII; XIX-XX. 65 Ivi: 92. 66 Blondel: t. V - pl. LXXXIII. 67 Blondel: t. V - pl. XXI. 68 Le Camus de Mézières, L’autore consiglia l’uso di stufe nelle camere dei bambini per evitare i rischi connessi con la presenza del focolare aperto. 69 Daviler, 1699: pl. XIV e XV. 70 Forni, 1997: 89. 71 La spesa complessiva corrisponde a circa 6166 lire (Forni, 1997: 91; Forni, 2003: 172 nota 74). 72 Sistemi perfezionati di riscaldamento ad aria sono documentati a San Pietroburgo in palazzo Yusupov (Zaitseva, 2006: 94-101). 73 Forni, 2003: 166. 74 Cfr. Olmo, 1995: 29. 75 Olmo, 1989: 21. 76 Ossanna Cavadini, 2003:138. 77 Una classificazione con notizie storiche, apparati grafici esplicativi ed essenziali riferimenti bibliografici in Breymann, 1931: vol. IV. 78 Masi, 1788: 116-117. Pubblicato anonimo a Digione da Pierre Hébrard e riedito nel 1769 per i tipi Jombert (Gallo, 2002: 348). 79 Segnala, ammettendo di non averlo consultato, la seconda edizione di J. Anderson, A pratical treatise on chimneys pubblicato a Londra nel 1777. 80 Il suo trattato è tradotto in Germania e Inghilterra rispettivamente nel 1715 e nel 1736 (Gallo, 2002: 347). 81 Milizia, 1784: II, 154-155; tav. III. 51 52 Bibliografia Babelon J. P., 1977 − Demeures parisiennes sous Henri IV et Louis XIII. Les Temps, Paris. Belluzzi A. & Forster K. W., 1989 − Giulio Romano architetto alla corte dei Gonzaga. In: Giulio Romano. Electa, Milano: 317-335. Blondel J. F., 1771-1777 − Cours d’architecture, ou Traité de la décoration, distribution et construction des bâtiments. Desaint, Paris. Blunt A., 1997 − Philibert De l’Orme. Electa, Milano. Boato A., 2005 − Costruire “alla moderna”. Materiali e tecniche a Genova tra XV e XVI secolo. All’insegna del giglio, Firenze. Bosc E., 1875 – Traité complet théorique et pratique de chauffage et de la ventilation. Morel, Paris. Breymann G. A., 1931 – Trattato generale di costruzioni civili. 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