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Poste Italiane, Giancarlo Giorgetti: dalla cessione della quota del Mef incassi per 4,4 miliardi
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Poste Italiane, Giancarlo Giorgetti: dalla cessione della quota del Mef incassi per 4,4 miliardi

di Angelo Ciardullo
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Il ministro dell’Economia in audizione davanti alle commissioni riunite di Camera e Senato: risparmi in spesa per interessi per 200 milioni l’anno, ma a oggi trade-off negativo per 100 milioni in termini di mancati dividendi incassati. L’ad di Poste Matteo Del Fante: la vendita non cambia nulla per l’azienda | IL VIDEO | Mps, il Tesoro vende un altro 12,5% e incassa 650 milioni. Richieste oltre tre volte l'offerta iniziale

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Giorgetti (Mef): “Lo Stato manterrà il controllo di Poste e fermarsi al 51%


La cessione di Poste può valere per il Mef fino a 4,4 miliardi di euro. Così il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti in audizione di fronte alle commissioni congiunte Bilancio e Trasporti della Camera e Programmazione economica, Finanze e Ambiente del Senato.

Dismissioni sì, ma senza perdita del controllo pubblico

Il piano di dismissioni messo in cantiere dal governo entro il prossimo triennio, rassicura Giorgetti, non prevede «in alcun caso la cessione del controllo dello Stato, che continuerà a mantenere un presidio pubblico» in Poste e nelle altre partecipate consentendone al contempo il rafforzamento attraverso l’apertura ad azionisti terzi o – nel caso delle quotate – all’ampliamento del flottante. All’interno di questo quadro, precisa Giorgetti all’indomani della cessione di un ulteriore 12,5% tramite bookbuilding, «non rientra la gestione di Montepaschi, sulla quale esiste uno specifico impegno verso la Commissione europea alla dismissione del controllo da parte dello Stato».

Pur ipotizzando una discesa in quota fino al 35% – spiega il ministro – lo Stato manterrebbe il saldo controllo della società a presidio di quella «quota rilevante del debito pubblico» che Poste raccoglie tramite l’emissione di buoni fruttiferi e libretti che Cassa Depositi e Prestiti riversa in parte nel conto di tesoreria dello Stato. A puntellare la presenza del pubblico nel gruppo, sottolinea Giorgetti, una serie di puntuali previsioni normative nonché lo stesso statuto di Poste nella parte in cui prevede che «nessun soggetto diverso dal Mef e da enti pubblici possa detenere una quota superiore al 5% del capitale». In ogni caso, guai a parlare di svendita, «termine totalmente scorretto» perché la bontà dell’operazione «si potrà valutare a posteriori in base alle modalità e alle condizioni con cui verrà fatta la vendita».

Trade-off negativo

Nel caso di cessione dell’intero 29,26% in capo al Mef, dice Giorgetti, «il controvalore desunto sulla base dei più recenti dati disponibili potrebbe ammontare a circa 4,4 miliardi di euro». Valore, quest’ultimo, che consentirebbe allo Stato di ridurre il debito «con conseguente risparmio in termini di spesa per interessi valutabile in circa 200 milioni di euro annui». Qualunque calcolo, non potrà però prescindere dalle tempistiche di messa a terra della dismissione: a tal proposito, specifica il ministro, alla luce dell’aggiornamento della previsione in sede di pubblicazione del Def «valuteremo l’opportunità di modificare la tempistica prevista per conseguire il profilo del rapporto debito/Pil coerente con gli impegni programmatici già prestabiliti».

«Se valutato alle attuali condizioni di mercato – evidenzia Giorgetti – il confronto tra mancati dividendi e minori interessi passivi configurerebbe un trade off negativo, valutabile in poco meno di 100 milioni annui». Tuttavia, precisa il ministro, «il semplice confronto di valori registrati contabilmente al momento attuale non riesce a tenere conto delle ricadute positive che l’operazione potrebbe determinare in termini di incremento del valore di mercato della società e, di conseguenza, sulle utilità della residua partecipazione in mano pubblica». La dismissione, che in una prima fase potrebbe anche fermarsi al 51%, «consentirà infatti di accrescere ulteriormente il flottante, ampliando la compagine azionaria anche a nuovi investitori così da realizzare un prevedibile rafforzamento del titolo e un conseguente beneficio per lo Stato».

«In un quadro più generale – aggiunge Giorgetti – è opportuno considerare anche gli effetti dell’operazione sulla fiducia degli investitori istituzionali nazionali ed esteri verso l’Italia, che potrebbero risultare in un miglioramento dell’appetibilità del debito pubblico, con conseguenti effetti positivi in termini di riduzione dello spread e del costo del debito». Pur nell’ambito di un quadro di mercato per definizione in continuo mutamento, il titolare dell’Economia assicura come non meglio specificate «stime» mostrino che «l’attuazione del programma di dismissioni ipotizzato nella Nadef consentirà nel complesso di conseguire un risparmio di interessi passivi sul debito superiore alla perdita di dividendi percepiti» in relazione alle quote che saranno cedute.

Polemiche sulla relazione tecnica

Il tema della quantificazione dei costi-benefici legati all’operazione Poste solleva tuttavia alcuni malumori tra le opposizioni, che lamentano l’insufficienza dei dati contenuti nella relazione tecnica. Dopo aver ribadito come un «approccio meramente contabile di fare dividendi meno interessi» alla questione non permetta «di cogliere il senso profondo di questo tipo di operazioni», alla richiesta del deputato di Italia Viva Luigi Marattin e della senatrice Pd Maria Cecilia Guerra di ricevere dal governo stime più precise, Giorgetti replica seccamente: «Faremo presente alla Ragioneria Generale dello Stato che la relazione tecnica è scritta male e la faremo rifare». Un commento apparso ad alcuni come una nuova critica velata al Ragioniere dello Stato, Biagio Mazzotta, sul cui operato il ministro ha evitato di esprimersi durante la conferenza stampa di presentazione della nuova stretta sul Superbonus limitandosi a un sibillino «non è questa la sede per discuterne».

Avanti tutta su PagoPa

Rispondendo a una domanda di Marattin – che provocatoriamente chiede se dietro la l’operazione inserita nel decreto Pnrr non vi sia la volontà di far salire il valore del titolo Poste nell’ottica della privatizzazione – Giorgetti conferma poi l’intenzione del governo di procedere sulla cessione di PagoPa: «Non c’è nessuna volontà strumentale di fare aggiotaggio, abbiamo letto le obiezioni dell’Antitrust e cercheremo di darvi risposta perché riteniamo che questa sia un’operazione di razionalizzazione di sistema».

Del Fante: da cessione quote nessun effetto sul piano

Poco prima, in audizione davanti la commissione Lavori pubblici del Senato, l’ad di Poste Italiane, Matteo Del Fante, aveva rassicurato su eventuali ricadute della cessione sul piano varato lo scorso 20 marzo, oltre che su potenziali acquisizioni o paventate chiusure di uffici postali: «Cambia qualcosa con la vendita di altre azioni oppure no? Risponderei così, in modo diretto e chiaro: assolutamente no, non a caso nel piano non c’è una parola sugli azionisti». 

Poste, ha spiegato Del Fante, «è un’azienda che ha uno statuto che dice che dei nove consiglieri il primo azionista ne sceglie sei e tra questi indica il presidente e l’amministratore delegato: che venda un’azione o ne ricompri dieci, il controllore dell’azienda rimane lo Stato». Per questo motivo, la gestione del piano «dipende solo ed esclusivamente dalle indicazioni che al management arrivano dall’azionista dell’azienda: credo che il management e le indicazioni, la supervisione, le linee guida date governo e dai ministeri coinvolti possano garantire un’assoluta costanza del piano». (riproduzione riservata)

MF - Numero 063 pag. 2 del 28/03/2024


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