aiasmag n. 22

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Formazione, salute saFetY e molto altro

antonio Pedna

riccardo Borghetto

Franco D’amico

Fabrizio Di Crosta

michela Gallo

Francesco scappini

Piero magri

lisa Francesca Gobbi

raffaello Dellamotta

riccardo Parigi

Magazine bimestrale a cura di AIAS. Anno V - n. 22/2023 del 18 maggio 2023 N22

aiasmag è un magazine bimestrale on line che si occupa delle tematiche legate a sicurezza, sostenibilità e ambiente fornendo un valido e funzionale supporto agli Associati e un punto di osservazione sempre aggiornato per il mercato di riferimento. Gli interventi in ogni numero dei protagonisti più autorevoli e competenti permettono ad aiasmag di essere uno strumento indispensabile di aggiornamento e innovazione. aiasmag è inviato a tutti gli Associati di AIAS, ed è disponibile sul sito web: www.aiasmag.it

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1 COLOPHON
Direttore resPonsaBile Francesco Santi ANNO V - n. 22/2023 del 18 maggio 2023

editoriale

il 28 aprile non è un inutile rito mediatico

Valutare l’efficacia della formazione durante lo svolgimento della prestazione lavorativa

la lean applicata alla sicurezza

Comportamentale: processi più snelli ed efficaci

si aggrava lo stress da lavoro post pandemia

Francesco santi

Presidente AIAS

antonio Pedna

TechIOSH, AIEMA, AICW, architetto, consulente di direzione esperto in qualità, sicurezza e ambiente

riccardo Borghetto

Amministratore Unico Lisa Servizi srl

Franco D’amico

Responsabile dei Servizi

Statistico Informativi dell’ANMIL

Parallelo fra Valutazione rischi privacy e DPia

Fabrizio Di Crosta

Libero professionista

Consulente di direzione e Informatica

Colore sì... ma cosa c’è dietro?

michela Gallo

Head of Consumer Goods Division

presso LabAnalysis; Managing Director presso IRCPack

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6 8 I 14 I 16 I 19

EDITORIALE FORMAZIONE B-BS SALUTE PRIVACY
2 SOMMARIO E COLLABORATORI

Formare con strategia applicativa perché la formazione abbia effetto nella pratica

infortuni sul lavoro e rischio occulto tra prevedibilità e inesigibilità

una questione di equilibrio

Francesco scappini

Consulente e formatore

Piero magri

Dipartimento penale, RP Legal & Tax

ASPP e QHES manager

sicurezza sul lavoro il Prses garantisce la sicurezza delle attrezzature di immagazzinaggio

Chi sono gli stakeholder e perché sono così importanti?

raffaello Dellamotta

PRSES – RSPP di Istituto Giordano S.p.A.

riccardo Parigi

Amministratore Unico Must Srl

Comunicazione Ambientale e Aziendale

I 22 I 25 I 27 I 29 I31

RISCHIOCHIMICO RETEGIURIDICAAIAS SAFETY MANAGEMENT 3

il 28 aprile non è un inutile rito mediatico

Passata la “giornata mondiale della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”, aiasmag continua a ragionare e sviluppare i temi che riteniamo, come AIAS, centrali per poter davvero incidere sul fenomeno infortunistico sul lavoro. Come sappiamo ormai da parecchi anni non ci sono effettivi miglioramenti.

In questo numero di aiasmag infatti troviamo ben tre articoli che, con differenti sfaccettature, si pongono l’obiettivo di sviluppare il tema dell’EFFICACIA DELLA FORMAZIONE PER LA SALUTE E LA SICUREZZA SU LAVORO.

Già 60 anni fa il professor Kirkpatrick invitava a non fermarsi al livello 1 o al massimo al livello 2 del modello per la verifica dell’efficacia della formazione. Ricordiamo brevemente i 4 livelli che già dal 1959 Kirkpatrick ci propose:

 liVello 1 - reazione: misura il grado in cui i partecipanti trovano la formazione favorevole, coinvolgente e rilevante per il loro lavoro.

 liVello 2 - apprendimento: misura il grado in cui i partecipanti acquisiscono le conoscenze, le abilità, l’atteggiamento, la fiducia e l’impegno previsti in base alla loro partecipazione alla formazione.

 liVello 3 - Comportamento: misura il grado in cui i partecipanti applicano ciò che hanno appreso durante la formazione quando sono al lavoro.

 liVello - 4 risultati: misura il grado in cui si verificano gli esiti desiderati come risultato della formazione.

Gli standard italiani proposti e previsti dalla normativa vigente (e anche previsti dall’ultima PDR UNI sul tema) si limitano al livello 1 o, al più, al livello 2. Cosa altro facciamo, infatti, quando sottoponiamo al discente il test di fine corso se non chiedere “come è andata”, “come hai trovato l’aula, il docente, il materiale, …” “il corso era inerente al tuo lavoro, ti è piaciuto, …”?  livello 1 - reazione.

Quando poi poniamo alcune domande quali: cosa davvero hai appreso, vero questo, falso quell’altro sulle nozioni tecnico-giuridiche presentate nel corso siamo a:  livello 2 - apprendimento.

Nulla di male, ma non basta. Dobbiamo salire al livello 3 e possibilmente al livello 4.

Noi riteniamo che, se la formazione sulla sicurezza salute e sostenibilità dei “processi produttivi” non affronta la sfidante, ma possibile, misura dell’efficacia, difficilmente riusciremo a incidere in modo positivo sulla realtà.

Come dicevo, in questo numero ci sono vari spunti sviluppati da differenti punti di vista che esplorano il tema dell’Efficacia della formazione, misurandone gli effetti sull’organizzazione e sui comportamenti dei discenti. Anche di questo abbiamo parlato nelle oltre 20 manifestazioni che AIAS ha organizzato e/o a cui ha partecipato in occasione del 28 aprile.

EDITORIALE 4
Francesco santi Presidente AIAS

21/04/2023 │ Il cerchio della vita – Sicurezza, Ambiente e Salute | in collaborazione con Teco S.r.l.

2. Roma, 26/04/2023 | PCTO e sicurezza sul lavoro: proposte per la sensibilizzazione degli studenti | in collaborazione con ANMIL

3. Lombardia (Online), 27/04/2023 | L’evoluzione dell’ Rspp a 15 anni dal D.Lgs.81/2008 | in collaborazione con UNI e EPC Editore

4. Biella, 28/04/2023 | Corso Gratuito di aggiornamento della formazione del preposto | in collaborazione con HELPS Srl e ASSO.FORMA

5. Brindisi, 28/04/2023 | Per una cultura della Sicurezza | organizzato da ITET «Carnaro - MarconiFlacco – Belluzzi» di Brindisi

6. Catania, 28/04/2023 | Obblighi e responsabilità delle figure chiave in materia di sicurezza e ambiente in Italia e negli schemi internazionali | AIAS in collaborazione con l’ordine degli ingegneri della provincia di CT

7. GE - Busalla, 28/04/2023 | Il volontario del soccorso: un supereroe od un professionista? | in collaborazione con IPLOM e Croce Verde Busallese

8. Milano, 28/04/2023

• Verso una nuova visione e modello della prevenzione incendi in Italia | in collaborazione con UMAN e ANIMA

• Campagna per sensibilizzare sul tema degli incidenti in Itinere

9. SA - Pontecagnano, 28/04/2023 | eventi organizzati in collaborazione con Blumatica Srl:

• Salvaguardia della salute e sicurezza dei lavoratori

• Cantieri temporanei o mobili Obiettivo infortuni zero con Blumatica SHEQ

• Linee Vita & Ancoraggi

10. Varese, 28/04/2023 | Salute e sicurezza del Lavoro: una visione integrata | in collaborazione con Safety Conctact Srl

11. PV - Mezzanino, 04/05/2023 | SICURTOUR | in collaborazione con Faraone Industrie e Alisea

12. CH - Atessa, 05/05/2023 | #WeAllCare | in collaborazione con Faraone Industrie e FCA Italy

13. FC - Cesenatico, 05/05/2023 | M71 in barca a vela: sicurezza, cooperazione, sostenibilità | in collaborazione con M71

Ci tengo a evidenziare alcuni aspetti di questo fil rouge che ha connesso tutta italia:

 A Roma, alla Camera dei Deputati, AIAS con Anmil e l’On. Rizzetto, Presidente della Commissione Lavoro, hanno discusso di temi anche inerenti il 3° punto del nostro decalogo “CRESCITA DELLA CULTURA DELLA SICUREZZA CON L’EDUCAZIONE DEI GIOVANI” nell’incontro “PCTO e sicurezza sul lavoro: proposte per la sensibilizzazione degli studenti”.

 Al Centro Direzionale EDISON a Sesto San Giovanni, ove abbiamo la sede delle realtà del NetworkAIAS, su iniziativa proposta e sviluppata dai dipendenti del Network, abbiamo realizzato un momento di sensibilizzazione per tutte le aziende presenti negli edifici sul tema degli Infortuni in itinere e del corretto comportamento sulla strada.

 Quindi dopo aver ricordato in modo operativo, comunicativo e educativo la data del 28 aprile, in attesa e sperando che nel prossimo decreto sul lavoro il Governo e il Parlamento diano la necessaria importanza al tema della Salute Sicurezza e Sostenibilità nei luoghi di Vita e Lavoro, ci lasciamo e vi auguro una buona lettura.

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1. PC - Fiorenzuola d’Arda, 14/04/2023 e
3 2 6 5 7 8 4 1 2 Eventi aias per la «Giornata Mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro» 13 9 1 1 0 1 1

antonio Pedna

TechIOSH, AIEMA, AICW, architetto, consulente di direzione esperto in qualità, sicurezza e ambiente

Valutare l’efficacia della formazione durante lo svolgimento della prestazione lavorativa

Questo articolo nasce da una serie di incontri promossi da aias aCaDemY, in cui un gruppo di persone, tra cui Gilberto Crevena – tutor corsi Hse aias aCaDemY – l’autore del testo, si è confrontato sul tema dell’efficacia della formazione sul lavoro e sulle modalità concrete di valutazione. sono grato ai miei colleghi per la loro partecipazione stimolante e per i loro preziosi contributi.

Gli obiettivi della formazione

L’obiettivo della formazione è quello di modificare gli atteggiamenti dei lavoratori e la loro percezione dei pericoli. Tuttavia, la quantificazione di questo cambiamento è possibile solo attraverso la definizione degli aspetti da monitorare, in linea con gli obiettivi della formazione e previsti da un sistema di gestione. Ad esempio, nel caso del ruolo di preposto, è necessario individuare le competenze chiave che questa figura deve dimostrare attraverso i suoi atteggiamenti e comportamenti, come la capacità di sovrintendere all’attività lavorativa, garantire l’attuazione delle direttive ricevute, controllare l’esecuzione corretta delle istruzioni fornite ai lavoratori e avere un potere funzionale di iniziativa. La misurazione del cambiamento si basa quindi sulla valutazione della capacità del preposto di dimostrare queste competenze, attraverso il monitoraggio dei suoi comportamenti e delle sue azioni sul campo. Esistono diverse tecniche per misurare le competenze, tra cui la scala di Likert. Tuttavia, la natura soggettiva

della valutazione non dovrebbe rappresentare un problema particolare nel contesto della tutela della salute e della sicurezza, in quanto la valutazione dei rischi si basa già in larga misura sul “giudizio dell’esperto”. L’esperto è la persona che possiede una vasta conoscenza delle attività lavorative e delle misure di prevenzione e protezione disponibili, necessarie per una valutazione completa e accurata dei rischi. La formazione sulla sicurezza non si limita alla trasmissione di nozioni, ma ha come obiettivo più ampio quello di favorire un processo di crescita interiore del partecipante, che possa portare a un miglioramento della sua consapevolezza dei rischi e a una maggiore cultura della sicurezza. Tuttavia, per raggiungere tale obiettivo, è necessario concedere al lavoratore un adeguato periodo di tempo per la maturazione di questi processi, durante il quale, però, potrebbe essere esposto a fattori ambientali che agiscono in senso contrario, mettendo in discussione l’efficacia della formazione. Per mitigare tali fattori, è possibile adottare un approccio di supporto al discente, tramite l’istituzione di un percorso di accompagnamento

6 FORMAZIONE

Formazione

acquisizione di competenze elaborazione personale (possibilmente guidata dall’organizzazione)

che favorisca la riorganizzazione culturale tra il momento in cui riceve la formazione e quello in cui viene valutata la sua efficacia. Questo percorso potrebbe prevedere l’assistenza di un tutor, mentore o coach, o un processo di autovalutazione regolare per consolidare le conoscenze acquisite e mantenere l’attenzione sull’obiettivo di modificare i comportamenti.

Valutare l’efficacia della formazione

Se vogliamo valutare l’efficacia di questo metodo, dobbiamo considerare i limiti che possono renderne difficoltosa o impossibile l’applicazione a determinati argomenti. Innanzitutto, può comportare costi aggiuntivi che aumentano i prezzi finali dei corsi di formazione. Ciò è particolarmente vero se si vuole eseguire un processo completo e di alta qualità, che richiede la scelta di progettisti, docenti e tutor esperti. In generale, è importante poi valutare attentamente i vantaggi e gli svantaggi di questo metodo di formazione e determinare se è adatto all’argomento specifico del corso e alle esigenze dei partecipanti. Questo metodo può non essere adatto ai corsi con un forte contenuto tecnico, in cui la trasmissione di hard skills è il presupposto principale. Le hard skills si riferiscono alle competenze tecniche e specifiche che possono essere apprese attraverso la pratica e l’istruzione, come l’utilizzo di strumenti specifici. In questi casi, la misura dell’efficacia dell’apprendimento coincide con la misura del trasferimento di informazioni e concetti.

Tuttavia, questo metodo può essere estremamente efficace per i corsi che mirano a migliorare le soft skills, come la leadership, la comunicazione, la gestione del tempo e la risoluzione dei problemi. In questi casi può effettivamente aiutare i partecipanti a sviluppare le loro competenze trasversali e a integrarle nella loro vita quotidiana. Limitandosi a questo aspetto, ovvero alle competenze personali e sociali che riguardano l’interazione con gli altri e la gestione di sé stessi, potrebbe essere più facile raggiungere il successo controllando il numero di soggetti da valutare. Ad esempio, un’organizzazione potrebbe avere più facilità a valutare preliminarmente, formare, seguire e valutare nuovamente un numero limitato di soggetti, come manager o dirigenti, che hanno un ruolo operativo importante.

Quando si parla di un gran numero di persone ci sono altri indicatori più pratici da utilizzare, poiché è difficile disporre di osservatori formati e dedicati e c’è il rischio di inerzia delle grandi masse di persone. Un’azienda con migliaia di dipendenti non può aspettarsi che un solo corso di formazione di qualche ora possa portare a significativi cambiamenti nell’atteggiamento dei lavoratori di fronte ai pericoli; deve invece pianificare una strategia di più ampio respiro. La misura dell’efficacia di questi sforzi si può ottenere utilizzando indicatori che leggano il fenomeno in maniera più complessa, anziché concentrarsi sul comportamento di singoli lavoratori. Pertanto, è importante inserire queste attività in un piano d’azione più ampio, possibilmente basato su uno standard per i sistemi di gestione.

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identificazione, riduzione e gestione dei rischi lavoro sicuro trasferimento conoscenze e procedure

la lean applicata alla sicurezza

Comportamentale: processi più snelli ed efficaci

Tutti i processi di cambiamento culturale, per essere efficaci e duraturi nel tempo, devono essere il più possibile leggeri, snelli, facili da implementare, poco burocratici.

La Behavior Based Safety è un processo di sicurezza che riduce gli infortuni, agendo sui comportamenti in modo molto efficace.

La B-BS è stata progettata oltre quaranta anni fa e ha avuto successo soprattutto in grandi aziende industriali in un periodo economicamente assai florido arrivando a centinaia di migliaia di applicazioni in tutto il mondo.

Le crisi industriali, che si sono succedute nel tempo, e soprattutto la ventata di cambiamento proveniente dal Giappone con il pensiero snello (Lean Thinking), hanno portato a ripensare i modelli organizzativi.

La filosofia Lean ha esercitato una notevole influenza sull’organizzazione del lavoro delle attività manufatturiere e non solo.

Oggi moltissime realtà industriali, in tutto il mondo, applicano la Lean Manufacturing e hanno beneficiato di maggiore efficienza (riduzione sprechi, maggiore velocità e tempo di reazione al variare delle richieste di mercato, drastica riduzione del capitale fermo nei magazzini) con notevole beneficio economico. Anche le relazioni dei lavoratori sono migliorate, dal momento che la Lean è fortemente basata sul coinvolgimento attivo dei lavoratori che apportano miglioramenti continui al processo produttivo.

La sicurezza sul lavoro è obbligatoria per legge, pesantemente normata e prevede il rispetto di infiniti obblighi legislativi, di conseguenza è molto lontana dai concetti elencati sopra.

La sicurezza è appesantita da un’infinità di adempimenti burocratici: alcuni molto importanti, altri francamente poco utili.

Per quanto attiene la B-BS, pur essendo molto efficace nel ridurre gli infortuni, l’applicazione rigida del protocollo come fosse una religione comporta elevati costi di investimento iniziale e tempi di progetto relativamente lunghi.

Le molte attività informative e formative richieste a tutti i componenti dei gruppi coinvolti comportano un costo e diversi mesi di lavoro prima di iniziare con le osservazioni.

Alcune aziende, magari soggette a cambiamenti organizzativi, desistono dall’implementare il processo B-BS e non beneficiano dei vantaggi in termini di riduzione di infortuni e incidenti che la B-BS può dare. Negli ultimi anni, l’applicazione della filosofia Lean ha contaminato anche le organizzazioni che avevano un processo B-BS portando a un interessante risultato.

Grazie alla Lean è possibile implementare un processo Behavior Based Safety, rigorosamente rispettoso dei principi su cui è stato sviluppato, in modo più economico, più rapido, efficiente e sostenibile nel tempo. Questo è ciò di cui le aziende hanno bisogno

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B-BS
riccardo Borghetto Amministratore Unico Lisa Servizi srl

per ridurre in modo efficace gli infortuni in un contesto ultra competitivo e veloce come ai giorni nostri. La Lean Behavioral Safety è esattamente questo: il protocollo B-BS in cui vengono prese delle decisioni ispirate alla filosofia Lean. Si può stimare una riduzione di circa il 40-50% del costo di consulenza esterna in fase di avvio e dell’80% a regime, e di un 50% di risparmio del costo del tempo dedicato al processo.

Come rendere lean un processo B-Bs

Il Lean Thinking è un modo di pensare, non significa solo “di meno”, ma “più efficiente”. Esso focalizza le risorse disponibili sulle attività più efficaci a scapito di quelle a minor valore. Pensiamo a questo concetto sul processo B-BS e chiediamoci: quali sono i comportamenti più importanti in termini di prevenzione? Quali sono le attività organizzative, di comunicazione di formazione più efficaci per lo scopo finale? Troppo spesso le attività si fanno perché vanno fatte e qualche volta si perde di vista lo scopo finale.

 la lean ci insegna una maggiore attenzione al cliente

Ma chi è il cliente in un processo di sicurezza e salute sul lavoro?

Il lavoratore

Quindi è necessario capire meglio e soddisfare i bisogni del “cliente-lavoratore” piuttosto che installare processi dall’alto con command & control. Il lavoratore non è il problema, ma il cliente del processo. Se vogliamo che il “cliente” scelga i comportamenti sicuri dobbiamo fare in modo di agevolare tale scelta, rimuovendo gli ostacoli, non cercando di forzare il comportamento sicuro. I comportamenti imposti durano poco e se manca il controllo scompaiono. Quelli volontari durano nel tempo e non necessitano di controllo.

Spesso la sicurezza, essendo un obbligo, viene vista come un compito e una compliance. Questo oscura la possibilità di vedere la sicurezza come un aspetto nel

quale arrivare all’eccellenza, un obiettivo da sviluppare. Quindi spesso l’obiettivo è essere in compliance, non eccellere. Questo è una grave perdita di opportunità e di possibili performance.

 Focus sul valore

cioè quello che vuole il cliente

Le organizzazioni spesso si focalizzano su ciò che vogliono, ignorando bisogni e desideri del lavoratore. Questo ha senso se vedi il lavoratore come un problema. Ma se vedi il lavoratore come un cliente si aprono nuove prospettive. Molti dei comportamenti, anche di sicurezza, sono volontari e vengono scelti dai lavoratori.

 efficienza eliminando gli sprechi

Nella sicurezza tradizionale abbiamo molte attività che fanno perdere tempo senza aggiungere valore: training ripetitivi, investigazione post incidente su stupidaggini. Nel processo B-BS alle volte abbiamo troppa info-formazione, troppe osservazioni di troppi comportamenti, troppa analisi dati. Il processo richiede queste attività, ma possono essere dosate al minimo di quello che serve realmente e nel momento in cui serve.

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Quali sono gli interventi necessari per rendere lean il processo B-Bs?

Qui forniamo solo alcune indicazioni di massima tenendo conto che ogni processo B-BS va “cucito” sul sito produttivo, sulla cultura del posto.

1 È necessario ridurre al minimo la formazione necessaria per i vari soggetti coinvolti e fare la formazione in modo mirato a quello che serve e nel momento in cui serve (Just in Time).

2 È inutile informare il personale sul processo mesi prima che inizino le osservazioni con consulenti esterni meglio progettare e implementare il processo B-BS. Durante la formazione (con consulenti esterni), si formano risorse interne, tutto il personale sarà informato solo un po’ prima che inizino le osservazioni sul campo e utilizzando le risorse interne già formate. Nel tempo, man mano che, a causa del turnover, si dovrà formare nuovo personale, si potranno usare risorse interne con notevole risparmio economico e minori complicazioni gestionali.

3 Anche la formazione del Safety Leader andrà fatta Just in Time: ovvero il modulo formativo sulla gestione dei dati del processo sarà fatto solo nel momento in cui vi saranno dati disponibili, e cioè circa un paio di mesi dopo l’inizio delle osservazioni.

4 Team snelli: tenere solo le persone che servono. Nessuna in più. Meglio avere un facilitatore competente che aiuta gli altri.

5 Checklist snelle. Qualche volta le checklist realizzate tendono ad allargarsi e diventare quasi checklist di compliance. Spesso superano i 25 comportamenti in una sola scheda, rendendo complesso e stressante il processo di osservazione. Non è lo standard B-BS a richiedere questo. Meglio un processo focalizzato su pochi (5-7) comportamenti critici (cioè quelli importanti!), che possono cambiare nel tempo (processo dinamico), magari con più checklist. Anche il processo di inserimento in data base (di solito la parte più pesante del processo) si riduce. Se possibile, utilizzare tecniche di inserimento da Smartphone/Tablet.

6 Osservazioni finalizzate al miglioramento continuo. Non è utile misurare continuamente la frequenza di comportamenti che hanno una frequenza di comportamento sicuro vicina al 100%. Conviene focalizzarsi, osservare e analizzare il perché avvengono i pochi comportamenti a rischio, individuare le cause e attuare piani di azione di miglioramento.

7 Si possono utilizzare diverse strategie di osservazione (osservazioni scelte dall’osservatore, comandate dal Safety Leader, osservazioni multiple in gran numero in una determinata area/reparto/comportamento, o senza feedback finalizzate ad aumentare i dati del data base senza perdere troppo tempo).

8 Focus dal numero di osservazioni alla riduzione dei pericoli per il tramite delle osservazioni.

9 Focus sull’eliminazione delle barriere che determinano comportamenti a rischio.

10 Non eccedere ossessivamente con il numero di osservatori. Magari scegliere quelli con più elevata preparazione.

11 Sinergia con altri processi. Se l’organizzazione ha già un processo Lean con team costituiti e già formati, il processo B-BS così concepito si può integrare facilmente, sfruttando gli stessi team oppure allargandoli.

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si aggrava lo stress da lavoro post pandemia

Il prezzo pagato dal mondo del lavoro in termini di decessi e infortunati, i danni economici e sociali oltre agli enormi costi sanitari e di varia altra natura, rappresentano solo la parte tangibile, visibile dei danni causati dalla pandemia.

I ritmi di lavoro e le pressanti condizioni in cui hanno dovuto operare gli addetti di molti settori produttivi (in particolare quelli delle strutture sanitarie) hanno determinato conseguenze di rilievo sulla loro salute mentale. E gli strascichi si fanno sentire soprattutto oggi in periodo di post pandemia (anche se in effetti non sembra ancora che tale periodo sia del tutto concluso).

Recentemente (12 ottobre 2022), in occasione della “Giornata mondiale della salute mentale”, EUOSHA (Occupational Safety and Health Administration) ha presentato i risultati dell’ultima indagine “Stress, salute e sicurezza sul lavoro post pandemia”. L’indagine è stata condotta dal 25 aprile al 23 maggio 2022 e ha coinvolto, tramite interviste telefoniche, 27 250 lavoratori dipendenti in tutti gli Stati dell’Unione europea, più Islanda e Norvegia. Il risultato di maggior risalto e preoccupazione che emerge dall’indagine è che dopo la pandemia ben il 44% dei lavoratori europei ha avvertito un aggravio nella percezione dello stress da lavoro Tuttavia, un aspetto positivo è dato dal fatto che circa il 50% degli intervistati ha rilevato come sia diventato più semplice poter parlare di salute

mentale dopo la pandemia (percentuale che sale al 63% in Italia) e come, nei luoghi di lavoro, ci sia stata una buona attenzione nei confronti di queste problematiche: il 38% degli intervistati ha ricevuto apposita consulenza e supporto sullo stress lavorativo, il 42% è stato coinvolto in iniziative di informazione e formazione.

Emerge, inoltre, come i lavoratori ritengano necessario adottare misure di prevenzione specifiche contro lo stress: l’81% degli intervistati ritiene fondamentale l’attuazione di norme mirate per la salute mentale dei lavoratori, ma afferma anche che, fortunatamente, tali problemi di sicurezza vengono affrontati tempestivamente sul posto di lavoro.

I risultati dell’indagine EU-OSHA, che – come detto – hanno interessato i lavoratori dell’Unione europea nel loro insieme, risultano sostanzialmente in linea con la ricerca, tutta italiana, dell’Osservatorio Sanità di UniSalute, condotta nell’estate 2022 insieme a Nomisma, su un campione rappresentativo di 1200 persone.

In generale, il 42% dei lavoratori italiani intervistati accusa, dopo la pandemia, problemi di stress con maggiore frequenza, dichiarando di avere molti alti e bassi di umore o di essere giù di morale per la maggior parte della giornata

Per un italiano su tre (34%) lo stress è una condizione cronica, il 26% dichiara di sentirsi stressato spesso e il 9% addirittura ogni giorno. Il 67% del

14 SALUTE
dei

campione ha avuto, almeno qualche volta, problemi di sonno, il 23% prova spesso stati di ansia o di eccessiva apprensione.

I fattori che scatenano stress riguardano soprattutto la situazione economica familiare e l’aumento dei prezzi, che preoccupano fortemente oltre il 40% degli intervistati; è fonte di stress anche la gestione degli impegni familiari, indicata dal 33% del campione e di conseguenza l’equilibrio tra lavoro e vita privata (21%).

Per la fascia di popolazione più anziana, fonte di disagio è soprattutto la solitudine, di cui soffre più della metà delle persone over-60 (52%). Si tratta di disturbi che possono comportare conseguenze disastrose come la depressione e il burnout che, soprattutto nei luoghi di lavoro, si traduce spesso in frustrazione, agitazione e fretta, compromettendo seriamente la sicurezza psicofisica del lavoratore. In aggiunta, se la condizione di stress persiste in modo prolungato può portare, oltre che a problemi

di natura mentale, anche a patologie cardiovascolari o scompensi muscolo scheletrici.

A fronte di tutte queste situazioni che emergono dalle indagini e che danno conto di una significativa diffusione del fenomeno nel Paese, non sembra tuttavia che in concreto vi sia una parallela rispondenza dal punto di vista statistico di quella che è una vera e propria malattia professionale riconosciuta e tutelata dall’Istituto assicuratore.

Dai dati pubblicati dall’INAIL, relativamente all’ultimo quinquennio, risulta che, negli anni precedenti la pandemia da Covid (2017-2019), sono state presentate appena circa 500 denunce/anno di disturbi psichici da parte dei lavoratori; negli anni della pandemia (2020-2021) le denunce sono scese addirittura sotto i 400 casi/anno. In particolare, le denunce relative ai disturbi psichici legati strettamente allo stress sono state circa 400 negli anni pre pandemia, scese a circa 300 negli anni della pandemia; va detto che, in questi due anni, il calo delle denunce risulta generalizzato per tutte le patologie professionali.

Nel 2022 (dato provvisorio) si è assistito a una decisa ripresa delle denunce di malattie professionali rispetto al 2021, con un incremento generale di circa il 10%; ma questo non vale per i Disturbi psichici che, nello stesso periodo, fanno segnare un ulteriore calo di denunce del 5%: una situazione che appare in netto contrasto con quanto emerso dalle indagini di cui si è appena dato conto.

Questo prova come le malattie da stress lavoro correlato rappresentino un fenomeno ancora notevolmente sottostimato e dietro al quale si nasconde un mondo molto complesso e ancora tutto da “esplorare” e da “bonificare”.

Solo di recente sono state avviate politiche mirate di prevenzione per affrontare le problematiche legate allo stress in ambiente di lavoro; anche se già l’art. 28 del D.lgs. n. 81/2008 (cosiddetto “Testo Unico della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”) ha disciplinato e reso obbligatorio per le aziende valutare lo stress lavoro correlato dei propri dipendenti, attraverso l’ausilio di medici specialisti preposti, per garantire loro un luogo salubre, professionalmente adeguato e che non sia fonte di stress e, conseguentemente, di danno per il lavoratore.

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Parallelo fra Valutazione rischi privacy e DPia

Per il Regolamento UE 679/2016 (General Data Protection Regulation, GDPR) la valutazione dei rischi sulla protezione dei dati personali (Processo atto a determinare la probabilità e la gravità del rischio del trattamento, in funzione della natura, dell’oggetto, del contesto e delle finalità del trattamento dei dati personali. La valutazione deve essere basata su elementi di valutazione oggettivi) è un passaggio fondamentale per garantire che i trattamenti di dati personali avvengano in modo sicuro e conforme alle disposizioni del GDPR stesso.

La valutazione dei rischi privacy – introdotta dal GDPR agli articoli 25 e 32 – comporta l’analisi delle attività di trattamento dei dati personali effettuate dall’organizzazione, al fine di identificare i rischi per

i diritti e le libertà degli interessati e stabilire – in base alla ponderazione degli stessi – le misure adeguate per prevenirli. Il GDPR specifica che questa valutazione dei rischi deve avvenire considerando probabilità di accadimento di eventi avversi e gravità delle conseguenze nel caso si concretizzino i rischi (“… rischio di varia probabilità e gravità per i diritti e le libertà delle persone fisiche”). Tale valutazione può essere svolta con varie metodologie, prendendo spunto da standard internazionali (ad esempio norme della serie ISO 31000) o linee guida (Enisa, NIST ecc.), ma l’importante è che siano prese in considerazione minacce, vulnerabilità e sorgenti di rischio che impattano sui dati personali con conseguenze sui diritti e libertà degli interessati.

Il Regolamento UE 679/2016 indica che i rischi sono quelli derivanti dai trattamenti dei dati personali, ovviamente quelli mappati e identificati nel Registro delle attività di trattamento ex art. 30 del GDPR. Ogni trattamento può comportare rischi diversi, ma qualora diversi trattamenti di dati personali (ovvero diversi processi dell’organizzazione che trattano dati personali) sono svolti nei medesimi locali e con i medesimi sistemi informatici (gestionali, file server Windows e/o cloud), allora i rischi identificati potrebbero essere considerati come afferenti ai trattamenti di dati personali svolti dall’organizzazione nel suo complesso, considerando il caso peggiore (worst case).

Il GDPR richiede anche – all’art. 35 – la valutazione di impatto sulla protezione dati (Data Protec-

16 PRIVACY
Fabrizio Di Crosta Libero professionista Consulente di direzione e Informatica

tion Impact Assessment, DPIA), per i trattamenti di dati che presentano un rischio elevato per i diritti e le libertà degli interessati (condizione di rischio di pregiudizio dei diritti e delle libertà delle persone fisiche). La DPIA, dunque, è un processo formale e sistematico che consiste nell’analisi delle conseguenze per i diritti e le libertà degli interessati nelle attività di trattamento dei dati personali. Ma non riguarda tutti i trattamenti, solo quelli che a fronte della valutazione complessiva dei rischi hanno portato a un rischio elevato. Il suo obiettivo è quello di garantire che i trattamenti di dati personali più critici per i diritti e le libertà dell’interessato avvengano in modo sicuro e conforme alle disposizioni del GDPR. Oltre ai trattamenti che, a giudizio del Titolare e Responsabile, presentano un rischio elevato, il GDPR ha individuato altre situazioni che configurano la necessità di condurre una valutazione di impatto:

 quando è presente una valutazione sistematica su larga scala basata su trattamenti automatizzati, compresa la profilazione;

 quando vi è un trattamento su larga scala di particolari categorie di dati personali (art. 9) e giudiziari (art. 10);

 quando è presente una sorveglianza su larga scala di zone accessibili al pubblico.

A queste condizioni si aggiungono poi altre situazioni stabilite dalle Autorità di Controllo Nazionali, tra cui anche il GPDP italiano con un Provvedimento dell’ottobre 2018.

La DPIA deve essere effettuata prima dell’avvio del trattamento dei dati personali e deve essere documentata. Essa deve contenere una descrizione dettagliata del trattamento dei dati personali, una valutazione dei rischi per la privacy degli interessati e le misure adeguate a prevenirli.

Esistono alcuni modelli e standard per condurre la DPIA: il sistema PIA di CNIL (autorità francese), supportato da un software usufruibile gratuitamente, la ISO 29134, la ISO 29151, il WP 248 (Linee guida

del Gruppo Articolo 29 in materia di valutazione di impatto sulla protezione dei dati).

La valutazione dei rischi privacy e la valutazione di impatto sono dunque due processi distinti ma complementari nell’ambito della data protection. Purtroppo si rileva che molte organizzazioni hanno approcciato nel modo errato questo aspetto, scambiando la valutazione di impatto sui trattamenti più a rischio per la valutazione dei rischi generale su tutti i trattamenti. Invece la DPIA è una conseguenza della Valutazione dei Rischi, da condurre solo in determinate situazioni. Riportiamo alcuni esempi di trattamenti che richiedono o non richiedono una valutazione di impatto (ma sicuramente meritano una valutazione del rischio privacy):

 Videosorveglianza. Un impianto aziendale a protezione del perimetro aziendale e degli accessi fisici da malintenzionati non merita una DPIA, una videosorveglianza su una stazione ferroviaria o su un aeroporto necessita di DPIA perché i trattamenti sono su larga scala.

 Una profilazione di utenti che accedono a un sito di e-commerce tipo Amazon necessita di una DPIA.

 La gestione di una Fidelity Card per l’acquisto di beni anche di tipo sensibile (farmaci, parafarmaci, integratori, anche articoli reperibili in un normale supermercato) necessita di una DPIA.

 Il trattamento di dati sanitari di un ospedale effettuato in un processo standard di prenotazione visite ed esami, esecuzione delle visite ed esami diagnostici e refertazione non richiede DPIA in quanto è un trattamento ormai consolidato e normato che richiede solamente l’applicazione di adeguate misure di sicurezza.

In conclusione è importante non confondere i due processi, anche se entrambi comportano una valutazione del rischio, e focalizzare la valutazione sui rischi che corrono i dati personali dell’interessato.

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Colore sì... ma cosa c’è dietro?

i colori e l’arte della decorazione hanno influenzato l’uomo fin dalla preistoria, con una continua ricerca di tonalità, effetti e sfumature.

Inizialmente venivano prevalentemente sfruttati o imitati gli elementi disponibili in natura, per poi progressivamente sviluppare tecniche di sintesi chimica idonee all’ottenimento di pigmenti, inchiostri, coloranti o comunque specie in grado di impartire l’effetto desiderato.

Per citare alcuni esempi storici:

Questo pigmento è prevalentemente costituito da carbonato di piombo, preparato con piombo metallico e aceto. Era l’unico bianco utilizzato nei dipinti europei da cavalletto fino al XIX secolo quando, a causa del tenore di piombo, si sono progressivamente studiate delle alternative.

 Giallo orpimento e arancione realgar

Entrambe le specie sono solfuri di arsenico, il primo con formula As2S3, il secondo As4S4.

“Orpimento” deriva dal latino aurum = oro e pigmentum = pigmento, “realgar” dall’arabo rahj al ghar = polvere di caverna.

Entrambi i minerali sono stati utilizzati come pigmenti, l’orpimento è conosciuto con molti nomi diversi, fra i quali giallo di Parigi e giallo di Spagna.

Il realgar è stato l’unico pigmento arancione puro fino al moderno arancione cromato.

 Giallo indiano

Sviluppato in Asia, presumibilmente intorno al V secolo dopo Cristo, trova tra gli ingredienti principali l’urina di mucche alimentate esclusivamente con foglie di mango.

Si ritiene che tale pigmento sia stato utilizzato nel dipinto La notte stellata (1889) di V. Van Gogh.

RISCHIO CHIMICO 19
 Bianco piombo

Attualmente, i principali coloranti usati per i beni di consumo sono i coloranti azoici, che rappresentano il 60-70% dei coloranti usati a livello industriale, con larga applicazione nei comparti:

 Tessile

 Alimentare e bevande

 Farmaceutico

 Cosmetico

 Carta e cartone

 Cuoio e pellame

 Vernici e inchiostri

ma qual è la storia di questa categoria di sostanze?

Il chimico tedesco Johann Peter Grieß è considerato uno dei pionieri della sintesi dei coloranti azoici, grazie agli studi sulla reattività dell’acido nitroso con molecole organiche quali, ad esempio, l’anilina. Fra le pietre miliari si ha la sintesi, nel 1858, di un composto giallo con proprietà coloranti. Nonostante sia stata commercializzata solo per un breve periodo, questa sostanza suscitò interesse per la reazione che divenne il processo più importante nell’industria dei coloranti sintetici.

La chimica coinvolta in queste reazioni venne chiarita solo intorno al 1866, quando il chimico tedesco Friedrich August Kekulé von Stradonitz propose quella che si rivelò la corretta struttura chimica di queste molecole, caratterizzate dall’unità –N=N– chiamata “gruppo azo”.

Utilizzo dei coloranti orpimento, realgar e bianco piombo. Nell’opera le porzioni inizialmente bianche appaiono nere a seguito della formazione di solfuro di piombo II. (Immagine tratta da WebExhibits online museum of Science, Humanities and Culture)

Il gruppo azo può essere poi legato ad anelli benzenici, naftaleni, eterocicli aromatici o a gruppi alifatici. Dal punto di vista strutturale si evidenziano una parte centrale, i gruppi auxocromi, i gruppi cromofori e i gruppi solubili. Le diverse combinazioni strutturali permettono di ottenere innumerevoli peculiarità cromatiche.

Si stima che siano oltre 2000 i diversi azocoloranti disponibili in commercio. Il loro successo è legato all’economicità e alla facilità d’uso e alla possibilità di ottenere colorazioni intense, vibranti e di lunga permanenza. I coloranti azoici possono essere classificati in base al numero di legami azoici. Nel sistema Color Index (CI) i coloranti azoici sono forniti con numeri che vanno da 11 000 a 39 999 in corrispondenza della struttura chimica. Il numero di indice del colore, sviluppato dalla Society of dyers and colourists, viene utilizzato per la classificazione dei coloranti. Per citare qualche specie, fra i coloranti monoazo dispersi vi è il colorante arancione orange dye che viene

20 RISCHIO CHIMICO
Struttura generica e rappresentativa degli azocoloranti. (Immagine tratta da Aa.Vv., Classifications, properties, recent synthesis and applications of azo dyes) pararealgar (componente principale) e miscela di realgar orpimento (lumeggiature gialle) vermiglione solfuro di piombo formatosi a partire da bianco piombo

utilizzato per la tintura di acetato di cellulosa, poliammidi, poliesteri e poliacrilonitrile. Il direct red fa parte dei poliazo e viene utilizzato nel mondo della pelletteria. Diversi diazo primari vengono sfruttati per impartire colorazione marrone, verde, blu opaco o nero a svariate tipologie di materiali (ad esempio per lana). Come spesso accade quando si valuta un ampio e diversificato gruppo di sostanze, alcuni componenti del gruppo stesso possono avere caratteristiche di pericolosità per la salute umana o per l’ambiente.

Già la Direttiva 76/769/CEE riportava, grazie ai diversi emendamenti che l’hanno progressivamente aggiornata nel suo corso di validità, alcuni azocoloranti fra le sostanze cancerogene; sottolineava inoltre il possibile rilascio di ammine aromatiche a seguito della scissione delle molecole. Da specificare comunque che lo sviluppo di ammine aromatiche può essere correlato a reazione e/o degradazione di specie diverse dagli azocoloranti. Con l’evoluzione normativa, la Direttiva 76/769/CEE è stata abrogata, ma i suoi principi e i riferimenti agli azocoloranti e alle ammine aromatiche sono stati ripresi all’interno del Regolamento 1907/2006, il famoso Regolamento REACH. Ma non solo.

Pensiamo alle diverse regolamentazioni europee sul contatto alimentare; vengono posti limiti anche molto restrittivi alla migrazione delle ammine aromatiche, spesso facendo esplicito riferimento all’elenco riportato nel Regolamento REACH: “Coloranti azoici –

elenco delle ammine aromatiche” (Appendice 8, Punto 43). Diverse ammine aromatiche sono inoltre elencate, a causa della loro pericolosità, nell’allegato II “elenco delle sostanze vietate nei prodotti cosmetici” del Regolamento 1223/2009.

Anche nelle norme tecniche sulla sicurezza dei giocattoli (norme serie EN 71) si fa esplicito riferimento ad alcuni coloranti e ammine aromatiche primarie, che non devono essere presenti in particolari giocattoli o parti di giocattoli a causa del loro carattere potenzialmente cancerogeno o sensibilizzante. Inoltre si aggiunge che le ammine aromatiche primarie riportate negli specifici prospetti sono quelle che “hanno maggior probabilità di essere presenti nei materiali colorati facendo uso dei coloranti azoici che fino ad ora sono stati commercialmente disponibili”

Il monitoraggio di azocoloranti e ammine normate è spesso tra le priorità di controllo in progetti nazionali ed europei di monitoraggio su beni di consumo; ad esempio nei Piani Nazionali delle attività di controllo predisposti dal Ministero della Salute o nel progetto pilota dell’ECHA relativo alla valutazione di articoli venduti online.

21 Chemical Class Color Index n° Monoazo 11 000-19 999 Disazo 20 000-29 999 Trisazo 30 000-34 999 Polyazo 35 000-36 999 Azoic 37 000-39 999
Collezione storica coloranti, De Zaansche Molen, Zaanse Schans (NL)

Formare con strategia applicativa perché la formazione

abbia effetto nella pratica

Ricordo con un po’ di nostalgia gli incontri di formazione che avvenivano in azienda prima degli accordi Stato-Regioni.

È stato un periodo durato oltre un decennio che definirei di sviluppo.

Si è passati, infatti, dal nulla che c’era al di fuori di pochi Enti specializzati come le Scuole Edili, al modellare i concetti da trasmettere quasi quotidianamente, preparando argomenti via via più adeguati ai discenti. Temi e contenuti nati per i pochi specialisti in sicurezza venivano trasformati, modellati manualmente, corso dopo corso, in schemi sempre più semplici e d’immediata percezione, rendendoli assimilabili dal maggior numero di persone possibile. Percorso non facile, non appena nato già come obbligo normativo, e subito da doversi gestire in aula, anzi: in mensa.

la normativa e gli elementi dei contenuti

Con l’avvento degli accordi Stato-Regioni il mondo della sicurezza sul lavoro si è trovato, non per la prima volta, una strada da percorrere già asfaltata di contenuti modi e tempi, con tanto di segnaletica: fu la prima volta che tutti i lavoratori vi si dovettero immettere per obbligo. Il diritto-dovere come spesso accade piacque e dispiacque tanto ai lavoratori quanto ai datori di lavoro. Se da un lato piace essere presi in considerazione dall’azienda e sentirsi trattati da perso-

ne senzienti anche se con una sfilza di obblighi e divieti, dall’altro serpeggia la reticenza dello scolaro che si vede ripetente e sminuito della propria esperienza. Finalmente erano definiti i contenuti e i tempi della retorica. È importante notare che, ai fini dei riscontri pratici della formazione, è non primaria l’importanza sia dei primi che dei secondi.

Infatti tutti noi formatori ci troviamo ancora oggi di fronte al dilemma di quanto spiegare quel singolo tema o argomento che la legge ci impone. La spiegazione si compone di contenuto e tempo e il rapporto fra i due incide inevitabilmente sulla sua efficacia, per tanta bravura possano dimostrare sia il docente che il discente.

Ricordiamo anche il jolly da giocare al momento dell’aggiornamento della formazione sui rischi specifici, grazie al quale siamo formatori quasi liberi di

22 FORMAZIONE
Francesco scappini Consulente e formatore

scegliere quell’argomento su qualcosa di più specifico che, essendo meno generico, ha per conseguenza la sua minor estensione.

La conclusione sui contenuti da esporre per obbligo normativo impatta obbligatoriamente contro i codici ATECO e si frantuma nei tre spezzoni di livello di rischio che, saltando dal basso all’alto, ci propone i tre elenchi tematici riportati nei registri ai quali dobbiamo attenerci per completezza minima.

l’esposizione degli elementi dei contenuti

Cosa e quanto spiegare di quegli argomenti “di legge” per i quali abbiamo, non solo per alcuni di essi, interi tomi di spiegazioni e analisi tecnicogiuridiche?

L’ansia del formatore di non trasmettere quello che conosce si scontra non solo con il tempo a disposizione ma anche con la gestione dell’attenzione dell’uditorio. Quell’angolino del cervello che a volte lampeggia a fine corso indicando che non è stato detto e spiegato qualcosa di importante per operare in sicurezza durante un corso, è sempre attivo: poco tempo per troppi concetti. Chi non ci si è trovato?

Il corso di sicurezza per i lavoratori ha e avrà la doppia valenza di rispetto normativo e di momento di formazione della persona.

Soddisfare gli elenchi tematici di basso, medio e alto rischio stabiliti in Consiglio Stato-Regioni ci tranquillizza come formatori e soddisfa il bisogno di conformità al rigore normativo del datore di lavoro. Citandoli e spiegandoli più o meno approfonditamente adempiamo al nostro e altrui dovere, ma come dosare il “più o meno”, quanto andare in profondità nell’argomento?

I fattori da considerare sono molteplici e vanno dal livello medio di recepimento dell’aula al periodo di distanza dalla pausa, all’anzianità di servizio media dei partecipanti nella loro singola mansione. Diventa importante trovare il modo per far permeare i concetti spiegati nel più breve tempo possibile alla maggior profondità possibile. Ne va che i concetti espressi devono essere quanto più incisivi e per ottenere questo abbiamo poche tattiche:

 linguaggio semplice

Esporre ciò che si deve e si conosce è un lavoro, pertanto non è un’attività né piacevole né tantomeno volontaria: è un dovere e come tale, anche se ce lo possiamo far piacere, lo dobbiamo portare a termine al meglio. Il linguaggio, o le icone da impiegare, lo dobbiamo tarare bene su due livelli che quasi sempre non collimano: la classe e il singolo individuo. Con nazionalità differenti e vari livelli di istruzione dei singoli discenti, alle volte è da considerare un buon risultato riuscire a comunicare con tutti procedendo con una unica spiegazione del concetto, ma altre volte occorre riesporre l’argomento in termini elementari, affinché il lavoratore (o l’interprete) riesca a farli propri nella maniera più idonea a costruire, anche nel tempo, la giusta prospettiva del lavorare nel rispetto della sicurezza. In questi casi è necessario frantumare l’argomento, scegliere pochi semplici concetti e ridurli alla condizione di “bianco e nero”, anzi: o bianco o nero, meglio: se non può essere bianco allora necessariamente è nero.

 massima attenzione dei discenti

Catturare l’attenzione può risultare piuttosto semplice, a volte basta fingere di tossire con insistenza, ma mantenerla è tutto un altro paio di maniche. In realtà ho provato che mantenere l’attenzione costante dell’intera classe è molto più difficile che richiamarla nei momenti cruciali della spiegazione dell’argomento e porta a risultati di comprensione decisamente più confusionari. Alzare il tono al momento giusto

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paga, esporre con fervore il concetto coinvolge tutti. Purtroppo dobbiamo spesso fare i conti con persone che, lavorando col corpo in movimento, spessissimo in piedi, una volta sedute posizionano la mente in modalità stand-by. Ecco, il primo obiettivo è non lasciarle scivolare dal risparmio energetico allo spegnimento. In questo caso una domanda non troppo personale basta sempre a ridestare qualche neurone.

 semplici esempi

Parlare di concetti teorici ci avvicina all’ambiente accademico e inevitabilmente ci allontana da quello pratico. Tradurre i dettami normativi in casi concretamente applicabili alla realtà operativa e raccontarli ai discenti porta inevitabilmente a un confronto. Discutere con un operatore della propria attività di mansione, svolta nel suo ambiente di lavoro mentre utilizza le attrezzature colà presenti, è una delle migliori spezie per assaporare la contrapposizione fra teoria e pratica degli intenti del legislatore. Ne va che chiudere le questioni con un “è obbligatorio”, che equivale a un contrapponibile “è vietato”, non dà benefici formativi tantomeno comportamentali. In questo caso l’esperienza si fa sentire, sia da parte del docente che del discente. Se abbiamo di fronte un lavoratore esperto basta lasciare a lui elaborare la

soluzione del corretto comportamento da tenersi: è la persona più qualificata e motivata per “risponderne”; in questo caso il formatore lascia spazio all’altrui esperienza di esprimersi e, con qualche piccolo indirizzamento verso il comportamento sicuro e legalmente corretto, si concretizza un momento veramente formativo per tutta la classe.

 Vissuto pregresso (esperienze di altri lavoratori)

Per ultimo, non certo in senso cronologicamente applicativo durante i corsi, né tantomeno per valenza, raccontare all’aula casi reali, concretamente realizzatisi, riportando anche le conseguenze umane sulla vita quotidiana dei protagonisti, accompagna tutti i discenti a un processo di immedesimazione che graffia la loro coscienza nei sentimenti, e tanto basta al formatore per raggiungere il proprio scopo di lasciare un segno quanto più duraturo che offra al discente lavoratore la possibilità di aggrapparvisi in determinati contesti e situazioni per poter ragionare sui propri gesti operativi prima di realizzarli, portandolo a concretizzare un comportamento corretto in quella singola, specifica circostanza: tanto basta per limitare il rischio nella situazione pericolosa quel poco che serve per evitare l’infortunio.

24 FORMAZIONE

infortuni sul lavoro e rischio occulto tra prevedibilità e inesigibilità

Nella difesa dei processi penali, spesso ci si interroga sulla prevedibilità di un determinato evento. L’infortunio si poteva prevedere? Il rischio era stato valutato?

Spesso, soprattutto nelle fasi delle indagini, il ragionamento dell’accusa sembra tautologico: se c’è un evento, ci sarà anche una responsabilità, se un infortunio si è verificato, una violazione ci sarà stata, e se si fa fatica a trovarla, l’accusa diventa di non aver valutato il rischio.

In materia di infortuni, però, la responsabilità è di natura colposa e non si dovrebbe introdurre una responsabilità “per posizione”.

Così è avvenuto a Bergamo dove il Tribunale (dott. Roberto Palermo) con una pregevole sentenza emessa il 19 dicembre 2022 e depositata a marzo 2023, ha assolto l’imputato perché il fatto non costituisce reato con una motivazione assai articolata che attua in concreto i principi cardine del diritto penale della sicurezza sul lavoro.

 1. l’imputazione soggettiva

Occorre precisare che il datore di lavoro imputato nel processo penale era stato nominato solo da qualche settimana e il precedente datore di lavoro era rimasto in azienda, come consulente, risultando – al momento dell’infortunio – il riferimento per la sicurezza per l’RSPP e i preposti. Il Tribunale, sul punto, valorizzando anche l’esame dell’imputato, evidenzia come

“il brevissimo lasso di tempo intercorso dalla sua nomina abbia di fatto impedito all’imputato di prendere esaustiva contezza delle problematiche relative a quel macchinario” , né vi era prova che il datore di lavoro fosse stato messo a conoscenza di un più lieve infortunio occorso a un altro dipendente alcuni mesi prima dell’evento del processo. Sul punto la sentenza riporta che “nel registro degli infortuni la dinamica del precedente infortunio era descritta in modo assai generico tanto da non potersi esigere dal nuovo datore di lavoro di andare in via retrospettiva ad indagare sulle ragioni di quell’evento” .

In sostanza, come sostenuto da una recente sentenza della Suprema Corte (Cass. Sez. IV, 8 marzo 2022, n. 33548) l’assunzione di una determinata carica che comporti l’acquisizione di una posizione di garanzia, implica l’accertamento della sussistenza della concreta possibilità dell’agente di seguire la regola violata, valutando la situazione di fatto in cui ha operato. Più nello specifico, occorre sempre verificare se, nel lasso temporale intercorrente tra la data di nomina e quella dell’evento infortunistico, il datore di lavoro avrebbe potuto ragionevolmente conoscere il problema specifico, operando gli approfondimenti tecnici necessari. Si tratta dunque di “interrogarsi sia sulla capacità soggettiva dell’agente di osservare la regola cautelare ovvero sulla concreta possibilità di pretenderne l’osservanza che sulla esigibilità del comportamento alternativo”

25 RETE GIURIDICA AIAS
Piero magri Dipartimento penale, RP Legal & Tax

 2. il nesso di causa

Le specifiche contestazioni rivolte al datore di lavoro imputato riguardavano la violazione dell’art. 28 D.lgs. 81/2008 per non aver redatto un DVR che tenesse in considerazione tutti i rischi aziendali e la violazione dell’art. 71 c. 4 per non aver effettuato idonea manutenzione del macchinario.

Secondo la dinamica dell’incidente, infatti, l’infortunata era intervenuta per rimuovere l’inceppatura del macchinario, accertandosi che il macchinario fosse effettivamente fermo; aveva poi risistemato la merce sul nastro trasportatore perché si era accatastata in modo non allineato, e in quel momento, in modo del tutto improvviso, il macchinario si era automaticamente riavviato, con il conseguente infortunio.

Ebbene, il Tribunale evidenzia come sia sempre necessario effettuare “un attento giudizio sulla causalità della colpa, tramite un giudizio controfattuale ipotetico circa la valenza impeditiva di un comportamento alternativo lecito: ci si deve domandare se, nel caso specifico, il rispetto della regola cautelare, concernente l’esecuzione della prescritta manutenzione e la tempestiva attivazione di nuove barriere ottiche, sarebbe stata in grado di scongiurare con apprezzabile probabilità l’evento dannoso”. È stato però provato che le nuove barriere ottiche non avrebbero impedito l’evento e che il macchinario comunque era soggetto a manutenzione.

In questa prospettiva la motivazione evidenzia che “la titolarità di una posizione di garanzia non comporta un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, essendo imposta dal principio di colpevolezza la verifica, in concreto, della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire” (citando Cass. Sez. IV, 6 novembre 2009, n. 43966).

Occorre, quindi, sempre verificare attentamente le cause e la dinamica dell’evento e che sia provato oltre ogni ragionevole dubbio che quel fatto sia stato causato dalla violazione contestata.

 3. il rischio occulto

Ciò che è ancora più peculiare nel caso in esame è che il Tribunale abbia accolto l’argomentazione difensiva

che si tratti di un vizio occulto, seguendo una giurisprudenza di assai rara applicazione (un precedente si può rinvenire in Cass. Sez. IV, 30 settembre 2016, n. 44327).

In concreto il vizio emerso non era un malfunzionamento delle fotocellule che non avevano bloccato la ripartenza del robot, ma un vizio nel software che le governava. Questo software prevedeva che, in taluni momenti, per evitare che le fotocellule bloccassero la produzione per ogni corpo estraneo, il funzionamento delle fotocellule fosse inibito. Nel manuale di istruzioni non veniva precisata tale possibilità di inibizione e quindi la società non era stata messa in grado di conoscere questa circostanza, se non dopo una accurata analisi affidata a un tecnico esperto di meccanica e di elettronica. Solo dopo tali accertamenti specialistici si è compreso che non sarebbe stato possibile individuare immediatamente la causa del riavvio automatico che ha causato l’infortunio in quanto di per sé le barriere ottiche già presenti erano ben funzionanti.

Del resto, anche gli organi di controllo, in occasione di un sopralluogo, avevano effettuato diverse prove dinamiche e il macchinario sembrava sempre funzionare correttamente.

Viceversa, il giorno dell’infortunio, la lavoratrice ha avuto accesso all’interno della linea quando la barriera ottica era in stato di inibizione (c.d. muting) e non aveva letto il passaggio della lavoratrice: così il robot si era rimesso in movimento per completare il ciclo di lavorazione colpendo la lavoratrice.

Va altresì specificato che il fabbricante del macchinario aveva già cessato la sua attività e l’analisi delle cause dell’infortunio è stata resa ancora più complicata. In definitiva lo stato di inibizione della barriera ottica non era quindi rilevabile dal comune utilizzatore, richiedendo competenze tecniche non disponibili neppure al personale che pure svolgeva una ordinaria manutenzione. Tale inibizione è stata dunque qualificata sia dal consulente tecnico della difesa che dall’ATS che, in sentenza, dal Giudice, come “vizio occulto del macchinario e come tale non prevedibile in base alla normale diligenza ed accortezza”. Non era dunque possibile per la società utilizzatrice neppure valutare il rischio nel DVR in quanto nelle condizioni in cui si trovava non vi erano elementi dai quali dedurne l’esistenza.

26 RETE GIURIDICA
AIAS

una questione di equilibrio

Seguire la sicurezza in un laboratorio di prove sui metalli è come quando, da piccolo, camminavi in equilibrio sul bordo del marciapiede: da un lato il rischio di cadere in mezzo alla strada, dall’altro il rischio di ritornare sul marciapiede e semplicemente investire qualcuno che, a piedi, passava di lì. La sicurezza di un laboratorio che distrugge pezzi di ferro è una questione di puro equilibrio: da un lato l’uso di sostanze pericolose e attività potenzialmente molto rischiose, dall’altro l’esposizione praticamente nulla al rischio.

Anche la formazione e informazione giocano sull’equilibrio: da un lato il pericolo che non viene percepito in modo adeguato, dall’altro il panico.

Eh sì, perché quando un nuovo tecnico si rende conto che sta maneggiando un gas come l’H2S (acido solfidrico), praticamente letale, la prima reazione è il panico.

In questi quindici anni di lavoro ho imparato una cosa: al momento del panico interviene l’esperienza. Un tecnico più anziano, in primissima battuta, rassicura il giovane che, finché si sente odore di uova marce, siamo tranquilli, l’H2S diventa letale quando non si sente più nulla.

Raggiunto il giusto livello di tranquillità del nuovo tecnico, l’anziano descrive i vari sistemi di sicurezza: il sistema che gestisce tutti i gas, le valvole di sicurezza, le manutenzioni effettuate, gli allarmi che possono scattare, come spegnerli e cosa fare in caso di emergenza.

Tutto questo è in aggiunta alla formazione/informazione che il RSPP effettua regolarmente e a quella che la casa madre inglese ci impone, ma ha un valore molto più profondo perché non imposto ma vissuto. In questi anni, insieme al RSPP, abbiamo cercato un compromesso per fondere il linguaggio del tecnico, semplice, diretto, da amico e quindi più facilmente assorbibile da parte dei colleghi, al linguaggio più formale, burocratico della formazione obbligatoria. L’ultimo aggiornamento effettuato sulla gestione dell’H2S si è svolto sul campo: il RSPP ha spiegato,

27 SAFETY

con l’aiuto dei tecnici specializzati, come cambiare una bombola, come indossare la maschera in caso di emergenza, come funziona il pannello di controllo dei gas, ecc.; il tutto davanti ai macchinari, alla presenza, non solo dei tecnici coinvolti ma anche di tutta la squadra di emergenza, composta da personale adibito ad altre mansioni ma che, vista la pericolosità del gas e il ruolo rivestito, devono toccare con mano cosa fare in caso di emergenza.

Il filo conduttore di questa formazione, ma in generale di tutta la nostra formazione interna, è la conoscenza dell’attività svolta, l’esperienza della gestione accantonando la filosofia, tanto di moda di questi tempi, del terrore e del piangersi addosso; tutto ciò si può riassumere con questa frase: “va bene, abbiamo un pericolo, il gas che dobbiamo utilizzare è letale ma gestibile, cosa facciamo? Ci facciamo prendere dal panico o ci rimbocchiamo le maniche e vediamo di capire come agire in sicurezza?”.

Questo approccio è essenziale nella nostra realtà perché i tecnici devono caricare il provino da soli, in un ambiente sospetto di inquinamento; essendo

esseri umani, è facile sbagliare o perdersi, ma grazie alla dimensione molto piccola dell’azienda, la comunicazione informale, soprattutto nel frangente delle prove più pericolose, attraverso questo approccio, cementifica ciò che è stato spiegato con la formazione tradizionale e porta il tecnico al giusto equilibrio tra paura e sicurezza di sapere ciò che sta facendo.

L’esperienza dei vari colleghi, negli anni, si è sommata creando una cultura della sicurezza che non si basa sul panico e terrore ma fonde insieme i vari punti di vista permettendo a ogni dipendente di crearsi la “sua” sicurezza che non interferisce o cozza con quella ufficiale.

Un sistema inusuale ma che funziona: gli incidenti sono praticamente nulli e sia i requisiti della casa madre che quelli della legge italiana sono conseguiti. Credo, e l’esperienza me l’ha confermato più volte, che la sicurezza soprattutto in ambiti molto pericolosi, deve seguire le movenze di un equilibrista dondolando dalla descrizione del rischio reale alla partecipazione attiva dei lavoratori, passando per le rigide normative e l’esperienza del singolo che può solo apportare valore aggiunto al tutto.

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sicurezza sul lavoro

il Prses garantisce la sicurezza delle attrezzature di immagazzinaggio

la norma uni en 15635 contempla una nuova importante figura, il Prses, responsabile della sicurezza di tutti coloro che operano nei magazzini con le scaffalature metalliche.

Uno dei rischi presenti nelle aziende – tante volte sottovalutato – è quello delle scaffalature nei magazzini, un aspetto importante che presenta diversi elementi da valutare come le buone condizioni delle attrezzature, i metodi di lavoro degli operatori, la periodica manutenzione, la prevenzione dei danni ai singoli componenti. Molto spesso i danneggiamenti alla struttura di queste scaffalature industriali possono essere provocati anche da un uso non corretto dei mezzi di movimentazione, oppure dall’alloggiamento di eccessivi carichi verticali. Se danni di piccola entità possono semplicemente limitare l’utilizzo della scaffalatura industriale, nei casi più gravi esistono seri pericoli per la sicurezza dei lavoratori e delle merci. Operando come RSPP ho predisposto il controllo periodico delle scaffalature ubicate nei nostri magazzini, sia per una buona e corretta abitudine ma soprattutto per rispondere agli obblighi di legge:

 UNI EN 15635 normativa europea che disciplina l’utilizzo e la manutenzione dell’attrezzatura di immagazzinaggio;

 D.lgs. n. 81/2008 Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro.

Si ricorda che la responsabilità ricade sul datore di lavoro, pertanto le Procure della Repubblica e anche

i Tribunali, nei casi di crolli di queste scaffalature con danni alle persone, verificano con attenzione anche questo aspetto.

Inoltre, la norma UNI EN 15635 – spesso riportata nei manuali di uso e manutenzione delle scaffalature metalliche – ha l’obiettivo di garantire il corretto stato delle stesse e, quindi, la sicurezza delle merci e del personale.

Tale normativa contempla anche una nuova figura, il PRSES, Responsabile della sicurezza di tutti coloro che operano nei magazzini con le scaffalature metalliche. Questa figura deve garantire la sicurezza delle attrezzature di immagazzinaggio e di ogni scaffalatura presente nel magazzino e possedere una conoscenza approfondita dei sistemi di stoccaggio. Inoltre, sempre secondo la norma UNI EN 15635, deve:

 essere in contatto con i fornitori dei sistemi di stoccaggio e spiegare loro eventuali esigenze e necessità;

 conoscere e comprendere tutte le operazioni che vengono eseguite nel magazzino;

 conoscere le funzioni di ogni operatore e i flussi di lavoro in ogni turno.

All’interno di ogni stabilimento è necessario nominare uno o più PRSES.

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ma quali sono i compiti del Prses?

La norma UNI EN 15635 indica che il PRSES deve incaricarsi di raccogliere tutte le informazioni relative allo stato delle scaffalature. Se la struttura subisce un urto, l’operatore responsabile deve avvisare il PRSES, il quale valuterà immediatamente il danno. Ma non solo. Il PRSES dovrà quindi effettuare delle ispezioni periodiche per verificare l’integrità e la sicurezza dei sistemi di stoccaggio.

Ed è proprio su questi aspetti che la frequenza delle ispezioni dipende da una varietà di fattori che sono specifici del sito interessato e dovrebbero essere determinati dall’addetto in base alle condizioni operative di magazzino. Ciò deve tenere conto della frequenza e dei metodi operativi, unitamente alle dimensioni del magazzino, alle attrezzature utilizzate e al personale coinvolto: tutti potrebbero danneggiare la struttura.

Un’ispezione di tipo visivo deve essere svolta su base regolare secondo la valutazione del rischio e l’esito deve essere conservato e registrato in un documento formale.

A questa costante attività di monitoraggio interna si aggiunge anche l’obbligo di programmare un’ispezio-

ne periodica, condotta da un perito esterno, a intervalli regolari non superiori a 12 mesi.

Il tecnico esterno rilascia un rapporto di valutazione dello stato di conservazione e di efficienza delle strutture, individuando eventuali criticità e proponendo gli interventi di ripristino necessari.

Tutti i danni devono dare inizio a un’indagine sulle cause potenziali del problema al fine di ridurre o eliminare la possibilità che questo si ripresenti. Ecco un esempio per la valutazione dei rischi:

 errato funzionamento del carrello elevatore;

 qualità dell’addestramento o ri-addestramento dell’operatore;

 modifiche alle attrezzature di movimentazione originali;

 cattive condizioni delle attrezzature di movimentazione;

 modifiche del tipo o della qualità originaria del pallet utilizzato;

 accessori per la composizione dell’unità di carico danneggiati;

 carico sporgente su accessori per la composizione dell’unità di carico;

 interspazi troppo stretti;

 ampiezza del corridoio insufficiente;

 scarsa pulizia: merci rovesciate, accessori per la composizione dell’unità di carico che ostruiscono i corridoi ecc.;

 illuminazione insufficiente;

 pavimentazione inadeguata.

Si ricorda che, come indicato nel D.lgs. 81/2008, la valutazione del rischio è uno degli obblighi del datore di lavoro e di conseguenza il magazzino, in quanto parte integrante dell’attività dell’azienda, è uno degli ambiti sottoposti a tale obbligo.

La normativa UNI EN 15635 prevede una formazione obbligatoria ma non riporta l’obbligo di aggiornamento; però nel rispetto di quanto descritto del D.lgs. 81/2008 per la sicurezza sul lavoro, è una cosa buona effettuare un aggiornamento del corso da PRSES con un intervallo massimo di 5 anni.

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Chi sono gli stakeholder e perché sono così importanti?

Chi sono gli stakeholder (per dirla in italiano i portatori di interesse) e, soprattutto, quali vantaggi può portare lo stakeholder engagement (cioè il loro coinvolgimento) nella vita di un’industria?

Esistono forti opposizioni all’industria in generale dalla politica al comune cittadino. Anche perché per molto tempo il mondo industriale non ha comunicato affatto. Adesso, accerchiate da ambientalisti, norme ambientali sempre più stringenti e cittadini preoccupati, le aziende iniziano ad aprirsi verso i propri stakeholder e shareholder. Cioè gli interlocutori e gli investitori.

Ma perché sono così importanti?

Consideriamo quante relazioni abbiamo. Con tutte le persone che ci vivono attorno comunichiamo. Non solo con le parole, ma anche il tono della voce, i gesti e i comportamenti. E su questi veniamo giudicati. Partendo da queste riflessioni iniziali si comprende perché una buona relazione sia fondamentale.

Ritornando all’impresa è chiaro che uno sversamento di prodotto, una fumata dal camino o un infortunio sul lavoro significano “comunicazione”.

E per gestire la comunicazione aziendale nel modo

più profittevole bisogna seguire il suggerimento dello scrittore latino Vegezio: Si vis pacem, para bellum, se vuoi la pace preparati alla guerra. Cioè le relazioni fra azienda e territorio si costruiscono nei momenti in cui non ci sono contrapposizioni o questioni aperte. Occorre anche avere chiara la mappa dei nostri interlocutori senza privilegiare qualcuno a scapito degli

altri e che è necessaria una continuità di comunicazione costante nel tempo.

Saper bilanciare il peso della comunicazione è un punto cardine per la corretta gestione degli stakeholder. Va da sé che non esiste una formula standard; occorre selezionare attentamente caso per caso e agire di conseguenza. Quello che possiamo illustrare qui è uno scenario generico dividendo fra INTERNI ed ESTERNI.

stakeHolDer interni

i dirigenti

Coloro ai quali sono demandate le decisioni aziendali tendono a guardare prevalentemente all’esterno dell’azienda: mercato, concorrenza, politica, media. Verso l’interno, assolti gli obblighi di legge sulla formazione, garantite le norme si crede di aver fatto tutto il possibile. Dimenticandosi troppo spesso che sono i collaboratori i portavoce aziendali più credibili e autorevoli.

 i dipendenti

Facciamo un esempio concreto. Mai sentito dire da un dipendente: “Di questa cosa non ne sapevo nulla! A noi di queste cose non ne parlano mai. Ma tanto noi siamo sempre l’ultima ruota del carro…”. Prestare attenzione all’esterno, ma perdere di vista i propri colleghi accade spesso. Eppure è proprio il personale

31 MANAGEMENT
riccardo Parigi Amministratore Unico Must Srl Comunicazione Ambientale e Aziendale

dell’azienda il nostro primo “stakeholder” a cui dobbiamo prestare attenzione.

Il punto di partenza per lo “stakeholder engagement” è l’attenzione e la formazione del proprio personale a comprendere i valori aziendali, la visione e la missione dell’impresa per esserne coscientemente parte integrante.

Intendiamoci, non si può obbligare nessuno a comunicare, ma è abbastanza plausibile che venga naturale parlare del proprio lavoro in famiglia, con gli amici, al bar. E più i collaboratori sono partecipi rispetto alle attività aziendali, meglio e più coerentemente diffonderanno le informazioni.

 le parti sociali

E quanto sopra si amplifica anche di più quando si parla dei rappresentanti dei lavoratori.

Invece di essere considerati una risorsa che può favorire il dialogo aziendale, pur nel pieno rispetto delle differenti posizioni, le parti sociali sono ancora troppo spesso escluse nel dialogo verso l’interno e verso l’esterno apparendo come un elemento a sé stante.

 Gli investitori

Gli investitori o shareholder vogliono sapere se il loro investimento sarà tale nel futuro. Il valore di un’azienda non è più basato sugli aspetti “tangibili”, ma anche e prevalentemente sugli “intangibili” legati alla reputazione e alla sostenibilità.

stakeHolDer esterni

 i cittadini

Ogni giorno nascono “comitati contro” per bloccare o ritardare nuovi progetti. Spesso perché non si è creato un dialogo a monte. L’attenzione alle persone coinvolte in un progetto può essere impegnativo e costoso in tempo e risorse, ma ripaga con una creazione di fiducia e trasparenza che spesso riduce o annulla le contrapposizioni.

32 MANAGEMENT
STAKEHOLDER INTERNI
DIRIGENTI CITTADINI CLIENTI BANCHE ENTI DIPENDENTI STAMPA FORNITORI SINDACATI
STAKEHOLDER
ESTERNI AZIENDA INVESTITORI
SCUOLA

 enti politici

Cioè chi tecnicamente legifera, controlla e valuta la realizzazione di nuove opere e chi politicamente può fare scelte fortemente impattanti sullo sviluppo industriale. In questo caso è consigliabile agire a livello associativo per avere maggiore impatto e ridurre le posizioni avverse personalizzate.

 scuole e università

Dialogare con il mondo scolastico moltiplica la comunicazione verso la cittadinanza – dietro ogni studente c’è una famiglia – e si possono creare percorsi virtuosi e condivisi grazie alla corretta gestione dell’alternanza scuola-lavoro (PCTO). Ciò favorisce anche il futuro inserimento delle figure professionali più richieste dal mercato del lavoro.

 Clienti e fornitori

Indispensabili per la sopravvivenza dell’azienda ne sono anche il tallone d’Achille se i loro comportamenti, reputazione e filiera di produzione non rientrano nei canoni aziendali. Verso questi interlocutori va rivolta una nuova e più ampia attenzione per evitare il “fuoco amico”.

 Banche e assicurazioni

Banche e assicurazioni chiedono garanzie sull’ingaggio del territorio e sulla buona reputazione ambientale per non perdere i soldi prestati o investiti. E strumenti di comunicazione che comprendono oltre i dati economico-finanziari anche quelli ambientali e sociali come il Bilancio di Sostenibilità sono sempre più strategici e integrati.

 media

Ci vuole una vita a crearsi una reputazione e bastano pochi secondi per distruggerla. Generare una relazione chiara, trasparente e continuativa con la stampa – da quella tradizionale cartacea o televisiva a quella dei media online – può significare la possibilità o meno di poter far ascoltare la propria voce in caso di necessità.

Conclusioni

In pochi anni la relazione fra industrie e territorio è radicalmente cambiata. Sta proprio alle aziende fare il primo passo investendo e consolidando il rapporto con i propri stakeholder per avviare un lungo cammino di reciproca comprensione.

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