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Superbonus, nuova stretta del governo: stop a tutti gli sconti in fattura e obbligo di comunicazione preventiva
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Superbonus, nuova stretta del governo: stop a tutti gli sconti in fattura e obbligo di comunicazione preventiva | IL VIDEO

di Angelo Ciardullo
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Via libera dal consiglio dei ministri al decreto legge che limita ulteriormente il ricorso alle agevolazioni in materia edilizia | Superbonus, un errore da 39 miliardi

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Superbonus, nuova stretta del governo: stop a sconto in fattura e cessione


Nuova stretta del governo al Superbonus. Con un decreto legge presentato a sorpresa dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti nel corso del consiglio dei ministri, l’esecutivo prova ad arginare l’impatto sui conti pubblici delle agevolazioni in materia edilizia introdotte dal governo Conte II nella primavera del 2020.

Le nuove misure

Così il ministro dell’Economia in conferenza stampa: «Abbiamo eliminato ogni tipo di sconto in fattura e cessione del credito per tutte le tipologie che ancora lo prevedevano. Abbiamo inoltre eliminato l’istituto della remissione in bonis che avrebbe consentito fino al 15 ottobre 2024 le correzioni con il pagamento di una minima sanzione delle comunicazioni già intervenute, e previsto per tutte le nuove fattispecie una comunicazione preventiva a inizio lavori in modo da avere una monitoraggio preventivo del fenomeno senza aspettare il caricamento delle fatture sulla piattaforma dell’Agenzia delle Entrate».

«Abbiamo introdotto la compensazione rispetto ai debiti per chi vuole utilizzare il Superbonus: se si ha un ruolo definitivamente accertato, dunque, prima si compensa su quello. Inoltre, prevediamo la limitazione della cessione del credito Ace – agevolazione eliminata dalla riforma fiscale recentemente approvata – perché abbiamo notato un utilizzo fraudolento della medesima mutuando da Transizione 4.0 la comunicazione preventiva, ferma restando la possibilità di compensazione del credito già introdotta con Transizione 5.0».

«Queste misure – conclude il ministro – sono tese a chiudere definitivamente la eccessiva generosità di una misura che ha causato gravi problemi alla finanza pubblica e i cui effetti potremo contabilizzare definitivamente tra pochi giorni quando si chiuderà la finestra per il caricamento dei lavori eseguiti entro il 31 dicembre 2023».

La polemica sul deficit

Nelle scorse settimane il tema era tornato alla ribalta del dibattito politico dopo la pubblicazione dei dati Istat relativi al deficit, schizzato nel 2023 al 7,2% dal 5,3% preventivato dalla Nadef proprio a causa – secondo quanto messo in evidenza dallo stesso Giorgetti – dell’effetto «radioattivo» della contabilizzazione dei crediti d’imposta relativi alla misura: «I numeri – aveva sottolineato il titolare del Mef – ci dicono che l’emorragia dell’irresponsabile stagione del Superbonus ha avuto un effetto pesante sul 2023 andando purtroppo oltre le già pessimistiche prospettive». 

Effetto quantificato in ulteriori 39 miliardi – circa due punti percentuali, per l’appunto – che portano il pallottoliere del 2023 a 76 miliardi rispetto ai 37 previsti dalla Nota di aggiornamento al Def: sommando questa cifra ai 17 miliardi del 2021 e ai 54 del 2022, il totale si porta a 143 miliardi. Limitandosi agli investimenti ammessi a detrazione per i lavori conclusi, l’ultima stima di Enea parla di 114 miliardi a febbraio.

Una stima solo parziale che potrebbe aumentare ulteriormente. La difficoltà a quantificare il costo effettivo della misura, rischia di riservare ulteriori e sgradevoli sorprese in sede di redazione del Def atteso entro il 10 aprile, venti giorni prima della deadline per l’invio del Documento di economia e finanza a Bruxelles da parte degli Stati membri. Nel mezzo – il 22 aprile – l’aggiornamento di Eurostat sui dati ufficiali relativi ai conti pubblici dei Paesi dell’Unione per il 2023.

Entro fine giugno, peraltro, come già comunicato a Istat con una lettera inviata al presidente Francesco Maria Chelli il 26 settembre scorso, l’istituto di statistica europeo comunicherà anche le sue decisioni sulla classificazione dei crediti da Superbonus. Una classificazione – quella tra crediti «pagabili» o «non pagabili» – dalla quale dipende l’obbligo di contabilizzare i bonus sull’anno di sostenimento della spesa o la possibilità di spalmarli su più anni.

Nel primo caso l’impatto negativo per l’Italia sarebbe duplice. Da un lato, infatti, il governo vedrebbe restringersi ancora di più i già risicati margini di spesa per la manovra di bilancio. Dall’altro, con la fine della tregua sulle regole del Patto di Stabilità, Roma si vedrebbe recapitare una procedura di infrazione per deficit eccessivo data già per certa a Palazzo Berlaymont. Una «combo» micidiale che potrebbe costringere il governo a varare una manovra correttiva in piena estate.

Parlando nei giorni scorsi del Def, Giorgetti aveva anticipato la previsione di una crescita del Pil all’1% nel 2024: stima inferiore rispetto all’1,2% scritto nella Nadef – alla luce del nuovo quadro di crisi geopolitica globale – ma superiore a quelle indicate dalle principali istituzioni nazionali e internazionali. Per quanto riguarda le altre voci di bilancio, l’ipotesi più plausibile dovrebbe essere quella di una sostanziale conferma del deficit attorno a quel 4,3% previsto dalla Nota di aggiornamento (Superbonus permettendo) e un debito su quota 140%.

Alla finestra restano intanto le agenzie di rating, pronte ad aggiornare sul debito sovrano dell’Italia. La prima in calendario è, il 19 aprile, Standard & Poor’s. Per il governo è già tempo di allacciare le cinture. (riproduzione riservata)

MF - Numero 062 pag. 2 del 27/03/2024


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